Perché può essere utile pensare alle curve degli stadi per capire il mistero della sofferenza degli innocenti?

Spesso ci si sente chiedere: Perché devono soffrire gli innocenti, perché devono soffrire i bambini? E’ la grande domanda che, per esempio, domina anche in quel grande capolavoro di Dostoevskj qual é I fratelli Karamazov. 

Ebbene, dinanzi a questa domanda c’è chi,  pur da cattolico, pensa che non ci sia risposta possibile, che bisognerebbe fare silenzio e nient’altro. E invece la risposta (anzi: la Risposta con la “R” maiuscola!) c’è, eccome.

Certamente non si può sapere (a meno che non si è straordinariamente oggetto di particolari rivelazioni) perché quel bambino soffre ed un altro no, perché la vita di quel bambino è stata recisa nello splendore dell’infanzia mentre la vita di un altro bambino no. Ma anche se non si può sapere questo, si può e si deve sapere che non c’è sofferenza che dinanzi a Dio sia resa inutile e che Dio stesso (è di fede!) permette il male sempre in vista di un bene superiore. Per cui la sofferenza degli innocenti rientra nel principio della sofferenza vicaria…che rende possibile la salvezza di tanti peccatori e la compensazione di tanti peccati.

Insomma, tutto rientra in un disegno più grande, che anche se non si può scorgere in questa vita, si riuscirà certamente a scorgere nell’eternità. Come avviene nelle curve degli stadi di calcio quando si fanno le coreografie. Chi partecipa deve stare alle indicazioni: sollevare il cartoncino colorato che gli è stato dato; ma non può ammirare il disegno composto. Questo può essere ammirato solo dall’alto, cioè da chi è fuori la partecipazione della coreografia. Così è per la nostra vita: fin quando siamo qua, non vediamo il disegno; nell’eternità il disegno sarà finalmente visibile.

Padre Frederic Rouvier 81851-1925), autore del preziosissimo libro Saper soffrire (Edizioni Fiducia) utilizza un’altra immagine ma avente lo stesso significato:

Chi, dall’esterno, girando intorno all’abside di una delle nostre cattedrali gotiche, ne contempla le grandi vetrate, ben difficilmente potrà rendersi conto esatto del pensiero dell’artista, che le ha ideate e messe in opera. L’occhio rimane sconcertato dalla molteplicità dei pezzi, di intelaiature, di piombi, di vetri, diversi di forma e di colore, di cui sono composte. Ma se si entra nella vecchia chiesa, ai raggi del sole, che filtrano attraverso tutti quei piccoli pezzi di vetro colorato, messi uno accanto all’altro in modo così bizzarro, la vetrata comparirà in tutto il suo magico splendore. Allora si comprende e si ammira. Forse perché i piombi e i vetri sono diventati meno numerosi? Forse perché quell’azzurro profondo, quel rosso sangue, quel giallo oro, quel verde intenso, formano un contrasto meno stridente? No, ma tutto ciò si è in un certo qual modo fuso, armonizzato al passaggio dei aggi del sole; e al mirarlo l’animo si riempie di ammirazione. Noi qui sulla terra, tutti o quasi tutti, pur sentendola così vivamente, non vediamo la sofferenza sotto una luce sufficiente; e questa è la ragione -se se ne eccettuano i Santi- per cui così male la comprendiamo. Accontentiamoci, per ora, di questa conoscenza imperfetta; e poiché crediamo in Dio e nella sua Provvidenza, che veglia sopra di noi, accettiamo la sofferenza senza ribellarci. Verrà giorno, nel quale, in pieno possesso di quella felicità per cui fummo creati, la comprenderemo pienamente. Poiché quello che adesso il sole della terra ci discopre nelle vetrate delle nostre cattedrali attraversandole coi suoi raggi, il sole della misericordia eterna ce lo rivelerà allora rispetto alle nostre sofferenze passate, inondandole dei suoi raggi e trasfigurandole per onorarne, a guisa di altrettanti diamanti, la nostra eterna corona.


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