Perché la Rivoluzione francese fu una rivoluzione anche “filosofica”?

1.Si dice che, prima della Rivoluzione, la monarchia francese fosse assoluta e con chiare caratteristiche totalitarie. In realtà, va fatta una precisazione: è giusto parlare di monarchia assoluta, ma non è giusto parlare di caratteristiche totalitarie. Lo Stato totalitario, infatti, non conosce altra legge che se stesso, mentre la monarchia assoluta francese si basava comunque sul rispetto delle leggi fondamentali, leggi che riteneva “naturali”, ovvero da riconoscere e quindi “esterne” ad essa. Possiamo dire che il potere accentrato dei monarchi francesi era di tipo moderato, in quanto salvaguardava comunque una dialettica tra Stato e Società, senza pretendere di assorbire la Società nello Stato. Il totalitarismo nasce invece dove si realizza la confusione tra Stato e Società. Nella monarchia dell’Ancien Régime vi erano dei corpi intermedi che garantivano la libertà e l’autonomia della società rispetto allo Stato.

2.L’essenza del totalitarismo è la pretesa di trasformare l’ordine esistente secondo una prospettiva ideologica. L’ideologia è una costruzione intellettuale che non nasce da un’attenzione rispettosa della realtà, bensì da un tentativo di porsi al di sopra di essa, o addirittura di negarla totalmente. Le radici filosofiche dell’ideologia sono ravvisabili già nel pensiero di Cartesio con la negazione dell’evidenza del reale. Va detto che fino al XVIII secolo esisteva una società data e naturale e gli intellettuali si applicavano per migliorarla. Insomma, si discuteva su quale fosse la migliore forma di governo che dovesse governare un ben preciso modello di società, la cui struttura non veniva messa in discussione perché naturale. Dal XVIII secolo in poi s’iniziarono “ideologicamente” e “innaturalmente” a teorizzare diversi tipi e progetti di società. Non si partiva più dal dato concreto ma da un dato astratto, cioè quale sarebbe dovuta essere la società perfetta indipendentemente dalla realtà.

3.Alla morte di Luigi XIV vi fu una reazione della società di riaprire parlamenti conservatori, ma la nuova classe d’intellettuali illuministi non ritenne questi parlamenti idonei a rappresentarla e formò la cosiddette “società di pensiero”, che possiamo ritenerle delle antenate dei partiti politici moderni. Queste “società di pensiero” erano formate da intellettuali (i philosophes) che si riunivano per discutere su astratti modelli di società. Il fine della loro discussione era quello di raggiungere il consenso indipendentemente dalla verità. Quando questi intellettuali conquistarono il potere -come avvenne con la Rivoluzione francese- la loro utopia si scontrò con la realtà e finì inevitabilmente con il generare sangue e trasformarsi in “Terrore”.

4.Questi philosophes si accorsero ben presto che il popolo concreto era ben diverso dal Popolo con la “P” maiuscola a cui avevano astrattamente pensato. Fu così che si capì la necessità di “educare” questo tipo di popolo, per farlo finalmente divenire simile all’idea di Popolo che avevano teoricamente partorito nel chiuso delle “società di pensiero”. D’altronde Rousseau insegnava che il concetto di “volontà generale” non doveva e non poteva significare la semplicità volontà della maggioranza, ma invece ciò che avrebbe dovuto pensare la maggioranza qualora fosse stata previamente indirizzata verso il vero filosofico, che in tal caso era frutto delle teorizzazioni politiche rivoluzionarie. E’ il trionfo della democrazia moderna, che è cosa ben diversa dalla democrazia classica. Questa (la democrazia classica) ha due limiti: uno superiore, i principi naturali, ed uno inferiore, il consenso. La democrazia moderna non ha limiti, perché lo Stato moderno non conosce limiti fuori di sé. Nella volontà generale risiederebbe tutto il potere. Bisogna che qualcuno di volta in volta la determini e chi eventualmente si opponesse ad essa, si opporrebbe altrettanto inevitabilmente al progresso. Questi ultimi sono gli “scomodi”, secondo una definizione di Robespierre…e devono essere fatti fuori.

5.Dunque, possiamo dire che la Rivoluzione francese fu la prima “rivoluzione filosofica”. In realtà qualcosa di simile potrebbe dirsi anche per la precedente Rivoluzione inglese, ma questa non ebbe connotazioni filosofiche così chiare come quella francese. Insomma, la Rivoluzione francese fu l’attuazione di quei principi elaborati a tavolino dalle “società di pensiero”. I philosophes furono molto attivi e fecero man bassa di ogni certezza e verità tradizionali, causando vuoti intellettuali per poter innestare le nuove verità, create dalle loro astrazioni filosofiche. A testimonianza di questa opera di demolizione, si possono ricordare tutti i “miti” che prepararono la Rivoluzione. Non solo la presunta povertà della società francese (falsità, perché prima della Rivoluzione francese si può perfino parlare di una “società ricca in un Paese povero”, come dice lo storico Pierre Gaxotte), ma anche il presunto degrado della Chiesa francese (altra falsità che sarà proprio la Rivoluzione a sfatare con i tanti sacerdoti martiri e deportati perché non vollero accettare la costituzione civile del clero).


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