Cosa può insegnarci l’incontro tra Leone I e Attila?

di Pierfrancesco Nardini


Facciamo un breve ragionamento che parte da un episodio lontano cronologicamente, ma che può dirci molto. L’episodio riguarda l’incontro tra Attila e Leone I vicino Mantova nel 452 d.C. Il Pontefice convinse l’Unno a non puntare su Roma, salvando così la Città eterna dall’invasione. Può sembrare, come detto, un episodio che non c’entra nulla con preghiera e spiritualità, ma, approfondendo il ragionamento, si nota come s’incentri proprio su questo.

Nel suo La grande storia del Medioevo, Ludovico Gatto commenta così l’episodio:

(…) un pontefice romano il quale, con l’aiuto di Dio e la forza delle preghiere, avrà ragione delle frecce e delle spade.

E si può aggiungere, ebbe ragione in generale dell’uso della forza e della violenza.

L’ importanza di questo Papa per la Chiesa è dovuta a tanti elementi, ma questo episodio in particolare ha la capacità di spiegare come la preghiera e l’affidarsi a Dio renda possibile l’impossibile. Come spiega La storia dei Papi (Saba-Castiglioni) Leone Magno badava:

(…) più alla grandezza interiore dell’anima che ‘si acquista per fede, speranza e carità’, anziché alla grandezza esteriore dell’ufficio.

Con questo si vuol dire che, se hanno certamente pesato nel famoso incontro con “il flagello di Dio” le parole e l’autorevolezza del Pontefice, Leone I “torreggia sublime nella storia” (Gregorovius) di certo anche e soprattutto per l’efficacia della preghiera che sicuramente lo avrà accompagnato nel viaggio verso il luogo dell’incontro, confidando pienamente in Dio.

Non a caso Raffaello, nel suo famoso dipinto sull’episodio (1513-1514 d.C.) sito nelle stanze vaticane (ma questo elemento è presente ad esempio anche in un rilievo dell’Algardi (1645-1653 d.C.) nella Basilica vaticana), racconta l’accaduto con la presenza in cielo di San Pietro e San Paolo armati di spade. Si voleva esprimere in questo modo non tanto la reale presenza dei due santi o un miracolo formale avvenuto, bensì la certezza della presenza di Dio invocato dalle preghiere a sostenere le parole e la delicata azione del santo Pontefice.

Questo ragionamento può sembrare una forzatura e certamente a qualcuno sembrerà anche un po’ esagerato, ma se ci si pensa bene, non è così. È stato Nostro Signore Gesù Cristo a insegnarci l’importanza e l’efficacia della preghiera e la Chiesa ha sempre insistito su questo insegnamento. Ci è stato sempre detto che solo con l’affidarsi a Dio si può davvero tutto, si può avere forza (v. Fil 4, 13), che “chi prega si salva, chi non prega si danna” (S. Alfonso M. De’ Liguori, Del gran mezzo della preghiera). Dunque, perché dovrebbe essere stato diverso nell’incontro tra Leone Magno e Attila?

È più verosimile che colui che è definito “il flagello di Dio”, “uno dei più terribili mostri dell’umanità” (Gregorovius), autore di massacri e delle peggiori violenze, possa essersi intimorito solo di un uomo, che, per quanto autorevole e coraggioso, era pur sempre un uomo o che abbia “sentito” una forza diversa, la presenza col Papa di Qualcuno che di certo non capiva ma di Cui sentiva la forza? Se ci si riflette è molto più credibile la seconda ipotesi.


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