Un racconto per la festa di Sant’Antonio Abate: “La legna di don Salvatore”

Un classico della canzone napoletana, “Te voglio bene assaje”, ad un certo punto dice nel suo ritornello: “io te voglio bene assaje e tu non piens’ a me”. Una canzone, questa, che ebbe anche una versione religiosa, perché il cardinale Sforza chiese all’autore, Raffaele Sacco, di conservare il ritornello e di cambiare le parole, in modo da poter far immaginare Dio che si rivolge all’uomo mendicandogli il suo amore e che appunto gli dice: “Io ti voglio bene e tu non pensi a me.” D’altronde questo passaggio è più che naturale. L’amore tra due innamorati è vero quando è segno dell’amore più importante: quello dell’uomo verso Dio. Come l’innamorata vuole che l’innamorato la pensi e non la dimentichi, così Dio vuole che il nostro pensiero sia occupato da Lui. 


Il vecchio don Salvatore non ci capiva più niente. Metteva continuamente legna nella legnaia, non accendeva il camino e non ne prendeva, ma la legna diminuiva sempre più. Non ci capiva nulla. Si era messo anche a guardare, si era appostato senza farsi vedere per scoprire qualche ladruncolo, niente da fare, nessuno rubava, ma la legna spariva. C’era da uscire pazzi.

Neh, Mari’, ma comm’aggi’a fa’? Ccà ’a legna sparisce! (Maria, ma come devo fare, qua la legna sparisce!)

O sacc’io pecché! (Lo so io perché)” Rispondeva l’anziana moglie.

E dillo ’na bona vota (E dillo una buona volta)

E che t’’o dic’’a fa, ’o ssai pure tu! (E che te lo fico a fare, lo sai pure tu)

Ma cche aggi’’a sape’? (Ma che devo sapere?)

L’anziana donna faceva “no” con la testa… e don Salvatore s’infumava come mille tizzoni accesi.

Ma don Salvatore non era certo un tipo da bandiera bianca, la ritirata lui non la conosceva affatto. Finanche quella di Russia non la capì, malgrado la neve alta un metro e gli stivali con suole più bucate di un groviera. Adesso don Salvatore era anziano, ma il carattere era quello di sempre: decisione, rigore…e tanta astuzia da non ammettere mai i propri errori. La storia della legna che spariva durava da più di due mesi. È vero che il freddo non era arrivato, d’altronde a Napoli l’inverno non sempre è inverno, ma qualcosa nel clima stava cambiando e forse, chissà, anche il freddo sarebbe arrivato.

Quel giorno era il 17 gennaio, il giorno di Sant’Antonio abate (sant’Antonio e o’ porceluzz, cioè: sant’Antonio e il porcellino) e a Napoli, così come in molte altre località, è tradizione fare grandi fuochi all’imbrunire. Tradizione che ricorda i cosiddetti “fuochi di sant’Antonio”, ovvero i fuochi che il Santo accendeva per allontanare le tentazioni del demonio. Ma per don Salvatore il tempo passava quasi inutilmente, i suoi interessi erano solo la drogheria che gestiva, guadagnare, giocare al lotto; poi Natale, Pasqua, Epifania e i fuochi di sant’Antonio abate c’erano o non c’erano per lui era la stessa cosa. D’altronde anche nei giorni di festa, con la saracinesca un po’ abbassata e con la scusa pronta per i carabinieri (“sto solo facendo un po’ di pulizia”) il negozio lo teneva sempre aperto, pronto per qualche massaia del vicolo.

Ma adesso era una questione di principio, non ne poteva proprio più. Aveva deciso di fare una cosa che non era mai stata nemmeno nell’anticamera del suo cervello, aveva deciso di non aprire il negozio quel pomeriggio, pur essendo una giornata feriale. Aveva deciso di andarci a perdere ma voleva assolutamente risolvere il mistero e, per questo, era necessario appostarsi tutto il giorno. Anzi, aveva fatto di più: non lo aveva detto nemmeno a sua moglie; forse perché sarebbe svenuta alla conoscenza di una rinuncia di una giornata di guadagno da parte di un marito così attaccato al lavoro e al danaro.

Passarono le quattro, passarono le cinque, poi le sei, le sette…niente, ma alle sette e un quarto i suoi occhi uscirono fuori dalle orbite. Un’altra persona, oltre lui, aveva le chiavi della legnaia. Quella persona guardò a destra e poi a sinistra per accertarsi che non ci fosse nessuno ad osservare e prese tanta, troppa, legna. Quella persona era sua moglie!

Don Salvatore iniziò a sentire la bile nel sangue, la pazienza era ormai saltata (ma forse non l’aveva mai avuta), non gli restò che gridare: “Marì!!! (Maria!!!)

La povera donna, per lo spavento, fece cadere tutta la legna. Questa iniziò a rotolare per la discesa, passavano due vecchiette che tornavano dalla Messa, e le poverine vennero investite e caddero a gambe all’aria, e don Salvatore dietro a cercare di recuperare la “ricchezza”. La legna però non si fermava, anzi aveva aumentato la sua velocità perché alla discesa era seguita una lunga e ripida scalinata (i vicoli di Napoli son fatti così), volarono giù da una ringhiera e andarono a colpire le teste di quattro o cinque sventurati. E don Salvatore a correre a testa bassa per riacciuffare i pezzi. Ma questi non si fermarono ancora e andarono dritti-dritti verso un gruppo di ragazzini che, guarda un po’, stavano raccogliendo legna vecchia e cianfrusaglie per preparare un grande falò a sant’Antonio abate. S’immagini la gioia dei ragazzini quando videro arrivare tutto quel ben di Dio, tanta ne era che la ricerca poteva dirsi conclusa.

Ma don Salvatore iniziò a gridare: “Fermi, state stateve fermi!! Quella legna è mia, nun l’avit’’a tucca’! (Fermi, state fermi, quella legna è mia, non la dovete toccare!)

Non fece in tempo a finire, che un omaccione con due spalle larghe come Porta Capuana disse calmo-calmo: “’on Salvato’, ’e criature hann’’a joca’. E io mi dispiacesse, se nun ’e faciste joca’! (Don Salvatore, i bambini devono giocare, e avrei dispiacere se li faceste giocare).” Chi aveva parlato era Peppe Serramanico, il più delinquente dei delinquenti del vicolo, uno che passava dal carcere alla libertà e dalla libertà al carcere con la stessa facilità con cui a pranzo si passa dal coltello alla forchetta e dalla forchetta al coltello. E don Salvatore a Peppe Serramanico non poteva certo dire di no.

Ma con la moglie sì che doveva fare i conti. Rientrò a casa e sbatté la porta più forte del solito, era molto arrabbiato. “Ma pecchè m’’a fatto asci’ pazzo ppe’ tanto tiempo?! (Ma perché mi hai fatto uscire pazzo per tanto tempo?!)” urlò alla donna.

La donna piangeva e non parlava.

Parla! Parla!!” Urlava ancora il vecchio.

Salvato’, ti ricordi in che periodo ci fidanzammo?

A gennaio!

Era il giorno della festa di sant’Antonio, Salvato’

Embè? (E allora?)

Proprio innanz’’a nu fuoco tu me diciste che mme vulevi nzura’… (Proprio davanti ad un fuoco tu mi dicesti che mi volevi sposare)

Embè? (E allora?)

Embè, embè… (E allora, e allora…) – l’anziana donna si commosse – Tu me diciste anche n’ata cosa, Salvato’ (Tu mi dicesti anche un’altra cosa, Salvatore).”

E ccosa? (Cosa?)

Che ogni anno avresti fatto nu fuoco a sant’Antonio in ricordo di quel giorno, Salvato’. L’anno in cui ci sposammo io t’’o ricordai, ma tu dicesti ch’era nu peccato spreca’ tanta legna… e da allora non solo manco ’o ffuoco, ma ogni festa ’e sant’Antonio manco nu vaso te ssei arricordato! (Che ogni anno avresti fatto un fuoco a sant’Antonio in ricordo di quel giorno, Salvatore. L’anno in cui ci sposammo io te lo ricordai, ma tu dicesti ch’era un peccato sprecare tanta legna…e da allora non solo nemmeno un fuoco, ma in ogni festa di sant’Antonio nemmeno un bacio mi hai dato per ricordo!)” E la donna questa volta pianse senza freni.

Il vecchio don Salvatore si sentì per la prima volta in vita sua come un pesce fuor d’acqua pronto per essere lessato. Gli attacchi dei nemici in guerra, la ritirata di Russia, sciocchezze dinanzi a quella situazione così strana ma così vera. Pensò: “Era mai possibile che pe nu fuoco e pe nu poco e legna, Maria aveva fatto tutto quello e ch’io so arrivato a perd’ nu pomeriggio e guadagni? (Era mai possibile che per un fuoco e per un poco di legna, Maria aveva fatto tutto quello e che io per questo ho perso un pomeriggio di guadagni?)

Don Salvatore si girò per non farsi vedere, perché anche i suoi occhi luccicavano, poi quando fu sicuro di non fare anche lui la figura del sentimentale, si girò verso la moglie e l’abbracciò. “Neh, Marì – disse poi – va bbuo’: m’’o mmeritavo… ma pecchè hai dato legna anche a chell’antipatica ’ra signo’ Filume… (Va bene Maria, ma perché hai dato legna anche a quell’antipatica della  signor Filomena?)” Poi don Salvatore si arrestò immediatamente e divenne rosso come un peperone.

La moglie alzò di colpo il suo viso, fissò il marito, smise di piangere, iniziò a ridere e abbracciò il marito. Lei aveva dato la legna alla signora Filomena almeno il mese prima. E così questa volta don Salvatore non era solo un pesce lesso, ma un vero e proprio baccalà fritto, e affogato nel pomodoro, tanto era rosso dalla vergogna.


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