SOSTA: Il dovere della formazione non è un optional per il cattolico

di Pierfrancesco Nardini  (per il C3S)


Spesso mi viene opposto che un semplice fedele non può essere in grado di sapere se quel che sente dire dalla gerarchia della Chiesa sia giusto. Troppo complicati gli argomenti e, comunque, mantra ripetuto da molti, “quello è il Papa” (o le diverse varianti: un Cardinale, un Vescovo, anche un “semplice” sacerdote), “come faccio io a dire che sbaglia?”. Poi aggiungono “sono cose troppo complicate, tecniche”.

Non è sempre semplice rispondere a queste obiezioni. Non perché non si conosca la risposta, ma perché bisogna adattarla ogni volta al singolo interlocutore.

Molto spesso si tratta di cattolici solo “di nome” (ossia che si dichiarano così, ma nella pratica non lo sono perché non seguono le regole del Cattolicesimo) o cattolici “semplici”, intendendo quelle persone che, per vari motivi, non hanno una grande conoscenza del proprio credo, ma la vivono istintivamente in buona fede.

Questi -non è un giudizio, ma oggettività- sono caratterizzati, nella maggior parte, da ignoranza delle cose della fede, a volte molto marcata. Molto spesso mi capita di rendermi conto che l’interlocutore di turno non conosce nemmeno le basi della fede cattolica, che dice di credere. A mala pena ricorda il Pater e l’Ave.

Non sto esagerando! Purtroppo riferisco solo quel che constato.

Questa situazione mi porta molto spesso a chiedere “come fai a dire di essere cattolico, se prima non sai cosa vuol dire esserlo, cosa si deve credere per esserlo, cosa si deve fare per esserlo?”.

Ripeto, qui non sono io che sono presuntuoso e mi credo superiore agli altri o che mi permetto di giudicare, men che meno “faccio il fariseo”, richiamando il rispetto della Legge di Dio.

Semmai la presunzione è, molto spesso, di chi, a digiuno assoluto anche solo della conoscenza dei Dieci Comandamenti, si mette a criticarmi e a contestarmi, quando faccio notare qualche problema.

Io sono l’ultimo che può insegnare ed ho molto da imparare, ma, almeno, qualche conoscenza delle cose della mia fede mi sembra di averla, anche solo per il tempo che le ho dedicato e le dedico.

Ma veniamo al punto principale.

Ultimamente, di fronte a domande e eccezioni come quelle raccontate, mi sono attestato su questo tipo di risposta: “non è impossibile capirle queste cose, bisogna però almeno interessarsi un minimo, metterci la volontà di conoscerle”.

Data questa risposta, poi, mi sono abituato alle eventuali varianti di controbattuta e le anticipo.

All’interlocutore di turno, quindi, faccio notare come abbia l’obbligo, oltre che il diritto, «di acquisire la conoscenza di tale dottrina, in modo adeguato alla capacità e alla condizione di ciascuno» (CJC Can 229). E che questo obbligo ce l’ha non solo perché battezzato, ma anche perché si dichiara cattolico.

I fedeli laici hanno anche l’obbligo, e il diritto, «di impegnarsi, sia come singoli sia riuniti in associazioni, perché l’annuncio della salvezza venga conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo» (CJC, Can. 225).

L’espressione dell’interlocutore di fronte a questa mia informazione è spesso stupita. Sono molti quelli che non ne sono a conoscenza. Si vive la dimensione spirituale e della fede (non sono necessariamente la stessa cosa) con una superficialità disarmante. Superficialità che, tra l’altro, in molte di queste persone, non si riscontra in altri campi della vita.

Quale miglior dimostrazione di quanta poca importanza si dà a quel che, invece, è la parte più importante della nostra vita?

A volte sarebbe sufficiente conoscere un po’ di Catechismo (magari quello di San Pio X) per riuscire a capire la problematicità o meno, o anche la minor o maggior problematicità, di certe dichiarazioni, di certi documenti ecclesiastici.

Se non bastasse questo e se non si avesse proprio il tempo per approfondire un po’ o, anche, se proprio sono argomenti ostici, ci sono tanti siti come il nostro che informano e chiariscono in modo semplice e chiaro. Basterebbero dieci minuti di lettura.

Per questo nella prima risposta chiarisco che, però, ci si deve interessare, ci si deve mettere la buona volontà.

E ci si deve mettere anche coerenza e umiltà.

Non si può dire “non capisco” e non fare qualcosa per capire. E non si può criticare senza sapere quel di cui si parla.

Questo vale in tutti i campi della vita, mi sembra, non solo in questo.

Se sembra eccessivo quel che ho scritto, si valuti il grado di importanza di quel di cui parliamo nella scala di valori della vita.

Capisco che al giorno d’oggi la fede e l’aspetto “spiritual-trascendentale” è ai minimi storici, ma quel che è l’atteggiamento della maggior parte dei battezzati non è sinonimo di realtà.

Posso continuare a bere veleno, pensando superficialmente che non è importante ed è eccessivo chi pensa a questo, ma ciò non toglie effetto nocivo al veleno. Quel che bevo mi ucciderà comunque, anche se non ci voglio pensare e non gli voglio dare importanza.

Così, anche se la maggior parte delle persone non pensa minimamente alla vita dell’anima e, anzi, ritiene eccessivi e/o “anacronistici” quelli che lo fanno, questo non vuol dire che l’anima non avrà una vita successiva alla morte e che non subirà le pene dell’Inferno (nel vero senso della parola).

Tanto è importante la conoscenza di quel che si dichiara di credere che San Pio X scrisse l’Enciclica Acerbo nimis (15 aprile 1905) «sull’insegnamento della dottrina cristiana», il cui primo capitolo ha come titolo «l’ignoranza della religione causa precipua dell’odierno rilassamento».

Benedetto XIV chiarisce l’importanza per ognuno di conoscere la propria fede con questa chiarissima ammonizione: «la maggior parte di coloro, che son dannati agli eterni supplizi, incontrano quella perpetua sventura per ignoranza dei misteri della fede, che necessariamente si debbono sapere e credere» (Instit. XXVI, 18).

Più chiaro di così!


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