LA SOSTA – Un altro errore del clericalismo: dalla Chiesa “maestra” alla Chiesa “amica”

Cracovia, 30 luglio 2016. GMG 2016 Papa Francesco presso il Campus Misericordiae. I volti della gente della GMG

Abbiamo letto il documento I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, in preparazione al prossimo sinodo riguardante i giovani.

Premesso che c’è anche qualche spunto interessante, e le analisi sono più che accurate, per il resto nel testo s’impone una prospettiva che riteniamo assolutamente fallace ai fini di rendere davvero affascinante ai giovani la vita cristiana.

Un solo esempio, che ha messo in evidenza anche Marco Tosatti nel suo blog: “In tutte le settanta pagine non si fa riferimento alla santità, come un modello da proporre, un obiettivo da raggiungere, qualche cosa per cui spendersi e lottare”.

Ma veniamo a qualche riflessione.

C’è poco da fare il clericalismo arriva sempre in ritardo e, per giunta, senza approfittare del ritardo e far tesoro degli errori altrui.

Attenzione: diciamo “clericalismo” e non “Chiesa”, perché la Chiesa è sempre arrivata e sempre arriverà in anticipo.

Ma il clericalismo no. Il clericalismo non è quello che solitamente si crede, ovvero un insieme di chissà quali privilegi, bensì il tentativo di “mondanizzare il mistero”. Questo è il peggiore, anzi: l’unico, vero clericalismo.

Veniamo al dunque.

Per decenni è andata di moda la demagogia di essere “amici” dei figli. I genitori non come “autorità”, ma come “complici”.

Il risultato? Spaventoso.

I figli sempre più alla deriva, e i genitori sempre più occupati di se stessi, della loro carriera, delle loro libertà. D’altronde è più che naturale. Gli amici i figli se li scelgono, nei genitori, invece, essi vogliono incontrare dei maestri, delle guide autorevoli, ferme e sicure.

E adesso la Chiesa… pardon: il clericalismo che fa?

Dice che le realtà ecclesiali, i parroci, i preti, gli educatori, i catechisti, e chi più ne ha più ne metta, siano “amici” piuttosto che maestri sicuri e con certezze indiscutibili. Nella parte III dal titolo “L’azione pastorale” è scritto: Chiamare vuol dire porre domande a cui non ci sono risposte preconfezionate”. 

E più su: “Uscire verso il mondo dei giovani richiede la disponibilità a passare del tempo con loro, ad ascoltare le loro storie, le loro gioie e speranze, le loro tristezze e angosce, per condividerle: è questa la strada per inculturare il Vangelo ed evangelizzare ogni cultura, anche quella giovanile. Quando i Vangeli narrano gli incontri di Gesù con gli uomini e le donne del suo tempo, evidenziano proprio la sua capacità di fermarsi insieme a loro e il fascino che percepisce chi ne incrocia lo sguardo. È questo lo sguardo di ogni autentico pastore, capace di vedere nella profondità del cuore senza risultare invadente o minaccioso; è il vero sguardo del discernimento, che non vuole impossessarsi della coscienza altrui né predeterminare il percorso della grazia di Dio a partire dai propri schemi.”

Insomma, con ritardo (malattia tipicamente clericale) si arriva a non fare tesoro degli errori altrui, anzi li si adotta.

Se si guarda un giovane negli occhi, se si sta insieme a lui, si capisce che ha bisogno di certezze granitiche come l’ossigeno.

Che ha bisogno di mistero, di verità, di sacralità, di lotta, di ideali forti.

Ha bisogno sì di essere ascoltato, ma per poi ricevere delle risposte che siano tali, che superino la limitatezza e la precarietà dell’esistere, che sfondano nell’Eterno.

I giovani hanno bisogno che gli venga indicata una sola mèta: la santità!

E che gli si dica che la felicità sta nel glorificare Dio.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri


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