TAPPA – La bellezza del Rosario

Rubrica a cura di Corrado Gnerre


Le tappe trattano argomenti importanti e perenni per la formazione cristiana attraverso il metodo che Il Cammino dei Tre Sentieri, ovvero l’unione della Dottrina (la Verità) della Vita Spirituale (la Bontà) e del fascino della Verità Cattolica (la Bellezza). All’interno delle singole tappe vi sono ipassaggi, indicati con la numerazione progressiva. 


(70 passaggi)

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Il mese di ottobre è tradizionalmente dedicato alla devozione del Santo Rosario e così Il Cammino dei Tre Sentieri ha deciso di dedicare una Tappa all’importanza di questa devozione. Devozione che secondo la terminologia desunta dal pellegrinaggio, soliamo definire “bastone del cammino”.

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Come sempre, insistiamo sulla parola “bellezza”, che è un po’ lo specifico de Il Cammino dei Tre Sentieri: sottolineare della Verità Cattolica non solo la sublime logica, ma anche la sua irresistibile bellezza.

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San Pio da Pietrelcina (1887-1968) una volta disse: “La devozione alla Madonna vale più di tutta la filosofia e la teologia.” Modificando leggermente questa espressione, potremmo anche dire: Il Rosario è più di tutta la filosofia e la teologia. Ovviamente san Pio da Pietrelcina sarà sicuramente d’accordo, lui che fece del Rosario la sua instancabile preghiera. 

La necessità della devozione alla Madonna per capire la grandezza del Rosario

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Per capire la bellezza del Rosario e la sua grandezza, bisogna prima di tutto capire quanto sia necessaria la devozione mariana.

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Riprendiamo la frase di san Pio da Pietrelcina: “La devozione alla Madonna vale più di tutta la filosofia e la teologia.” Un’affermazione di questo tipo potrebbe risultare strana. San Pio non dice che ad essere superiore a tutta la filosofia e la teologia sia l’amore a Gesù, ma che già lo sia la semplice devozione alla Madonna. Una simile affermazione si può capire per Dio Padre, per Gesù (il Dio fattosi uomo) ma per una creatura umana… Eppure la frase del Santo Cappuccino è incontestabilmente vera. Vediamo in che senso. Ci sono almeno due motivi per capirla

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Primo: La Vergine Maria ci ha donato la possibilità della salvezza dicendo di sì all’Angelo. Ragioniamo. Le argomentazioni filosofiche e quelle teologiche sono fini a se stesse? Evidentemente no. Esse servono alla realizzazione dell’uomo, ma quale realizzazione può essere più importante della conquista del Paradiso? Dunque, la Vergine, donandoci il Redentore, ci ha anche donato la possibilità della salvezza (possibilità, non certezza, perché poi, ovviamente, dipende dalla nostra libertà).

Secondo: La Vergine Maria è il “segno” per eccellenza della tenerezza di Dio. La filosofia e la teologia rimangono sul piano dello studio e del metodo logico-discorsivo e, per quanto debbano essere sempre alimentate dalla preghiera e dalla santità (la sapienza scaturisce dalla temperanza e dalla Vita di Grazia), costituiscono solo un ausilio all’esercizio della carità, ovvero all’amore a Dio. La Vergine, invece, pur essendo un mezzo, è il segno per eccellenza dell’amore di Dio, è la creaturale immagine visibile di questo Amore (diciamo “creaturale” per distinguerla dal Verbo incarnato che è segno ontologicamente divino dell’Amore di Dio).

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Contemplando le meraviglie della Vergine non occorre studiare: c’è tutto.

 C’è l’amore a Dio: chi più dell’Immacolata ha amato Gesù?

C’è l’obbedienza a Dio: chi più di Lei si è fatta “ancella” di Dio?

C’è l’amore alla Chiesa: chi più di Lei ha dato la propria carne e il proprio sangue alla Chiesa, essendo già Gesù (il Capo) tutta la Chiesa?

C’è l’obbedienza all’autorità della Chiesa: chi più di Lei, pur essendo Regina della Chiesa e degli Apostoli, si è sottomessa agli apostoli e in particolare a Giovanni, capo della comunità di Efeso, facendosi custodire da lui?

Dunque, mettersi dinanzi alla Madonna, amarla e contemplarla, è la cosa più efficace per amare Dio, più efficace di tutti libri di teologia.

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 Continuiamo su questo. Sono tre i motivi per cui la devozione mariana è indispensabile nella vita del cristiano.

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Il primo riguarda la natura stessa della Vergine. Ella, pur non essendo divina (la Chiesa da sempre ha parlato di ipervenerazione e non di adorazione), ha una natura che, come dice san Tommaso d’Aquino (1225-1274), “sfiora” la divinità, perché è veramente “Madre di Dio”. Il Cristianesimo non dice che Dio è apparso uomo, bensì che è diventato veramente uomo, da qui il paradosso di una creatura che è veramente madre del Creatore, di una donna che è – come dice Dante – “figlia di suo Figlio”: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile ed alta più che creatura, / termine fisso d’eterno consiglio, /tu sei colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che il suo Fattore / non disdegnò di farsi sua fattura.”(vv.1-6). Già questo basterebbe per capire quanto sia necessaria la devozione mariana.

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Il secondo motivo riguarda la salvezza. L’Incarnazione, necessaria per la Redenzione, si è attuata grazie al “sì” di Maria all’Angelo. Cosa sarebbe accaduto se lei avesse detto “no”? Ci sarebbe stata un’altra strada? Nessuno lo può dire. Dunque, la possibilità della salvezza di tutti passa attraverso quel “sì” della Vergine pronunciato in completa libertà.

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Il terzo motivo riguarda la vita spirituale. Secondo il Cristianesimo, Dio non decide di essere buono, ma è costitutivamente buono. I comandamenti altro non sono che la natura di Dio codificata per la vita dell’uomo. Dunque, il quarto comandamento (onora il padre e la madre) è prima di tutto nella natura di Dio. Può Dio dire di “no” a Sua madre?

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Da ciò che abbiamo detto finora circa l’indispensabilità della devozione mariana, si capisce quanto il Rosario sia la preghiera più efficace; proprio perché pone Maria come modello del vivere cristiano e perché chiede a Maria di essere l’aiuto privilegiato a questo vivere cristiano. I misteri del Rosario sono la contemplazione degli accadimenti della Redenzione, per viverli con il cuore dell’Immacolata e per amarli con l’amore dell’Immacolata.

La nascita del Rosario

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Il Rosario viene fatto risalire a san Domenico di Guzman (1170-1221) –che ne fu il primo diffusore- e restaurato dal beato Alano de la Roche (1428-1475) per ordine della Vergine, apparsagli più volte dal 1460 in poi.

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La Vergine gli rivelò ben quindici promesse per coloro che lo avessero recitato. Eccole:

1.A tutti coloro che reciteranno devotamente il mio Rosario, io prometto una mia speciale protezione e grandissime grazie.

2.Colui che persevererà nella recita del mio Rosario riceverà qualche grazia insigne.

3.Il Rosario sarà una difesa potentissima contro l’inferno; distruggerà i vizi, libererà dal peccato, dissiperà le eresie.

4.Il Rosario farà fiorire le virtù e le buone opere e otterrà le più abbondanti misericordie divine; sostituirà nei cuori l’amore di Dio all’amore del mondo, elevandoli al desiderio dei beni celesti ed eterni. Quante anime si santificheranno con questo mezzo.

5.Colui che si affida a me con il Rosario, non perirà.

6.Colui che reciterà devotamente il mio Rosario, meditando i suoi Misteri, non sarà oppresso dalla disgrazia. Peccatore, si convertirà; giusto, crescerà in grazia e diverrà degno della vita eterna.

7.I veri devoti del mio Rosario non moriranno senza i Sacramenti della Chiesa.

8.Coloro che reciteranno il mio Rosario, troveranno durante la loro vita e alla loro morte la luce di Dio, la pienezza delle sue grazie e parteciperanno dei meriti dei beati.

9.Libererò molto prontamente dal purgatorio le anime devote del mio Rosario.

10.I veri figli del mio Rosario godranno di una grande gloria in cielo.

11.Ciò che chiederete con il mio Rosario, lo otterrete.

12.Coloro che diffonderanno il mio Rosario, saranno soccorsi da me in tutte le loro necessità.

13.Io ho ottenuto da mio Figlio che tutti i membri della Confraternita del Rosario abbiano per fratelli durante la vita e nell’ora della morte I santi del Cielo.

14.Coloro che recitano fedelmente il mio Rosario sono tutti miei figli amatissimi, fratelli e sorelle di Gesù Cristo.

15.La devozione al mio Rosario è un grande segno di predestinazione.  

Pochi scrupoli nel recitare il Rosario

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Una delle critiche che sono state rivolte al Rosario è stata quella di dire: ma a che serve biascicare tante ‘Ave’, per giunta spesso frastornati da rumori, da distrazioni e quant’altro?

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E’ evidente che il Rosario vada recitato nel miglior modo possibile. Si sa, per esempio, che la recita dinanzi al SS.Sacramento permette di lucrare l’indulgenza plenaria. Ma –attenzione- ciò non vuol dire che se non si hanno queste possibilità, il Rosario non vada recitato. Chi si lascia prendere da questa preoccupazione, si lascia ingannare da uno scrupolo dietro al quale può celarsi probabilmente una tentazione demoniaca …e si sa quanto il demonio abbia in odio questa preghiera.

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La bellezza del Rosario sta anche nella sua semplicità e facilità; nel fatto, cioè, che può e deve adattarsi a tutte le situazioni. Si racconta di un soldato in trincea che scriveva una lettera alla mamma tra il fragore della battaglia. Un commilitone gli chiese: “Ma come fai a scrivere con questo fracasso? Chissà quanti strafalcioni ci scappano!”“Non fa niente –rispose il bravo soldato- gli strafalcioni se li corregge la mamma. L’importante è che io le scriva.”

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A san Pio da Pietrelcina una volta fu chiesto come recitare il Rosario. Il Santo rispose: “L’attenzione deve essere portata all’Ave, al saluto che rivolgi alla Vergine nel mistero che contempli. In tutti i misteri essa era presente, a tutti partecipò con l’amore e con il dolore.”

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Attenzione dunque a certi scrupoli che possono celare anche un errore tipico di molto cattolicesimo contemporaneo, il quale, nel tentativo di combattere “ingenui devozionalismi”, pone l’esperienza di fede in una prospettiva di tipo intellettuale, dimenticando che essa è sì “intelligenza nella fede” ma tutta orientata e finalizzata all’affidamento e all’amore.

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Si è parlato molto di “cattolicesimo adulto”, ma non è vero piuttosto che Gesù lodi proprio i piccoli indicando la loro posizione esistenziale (lo stupore, la meraviglia e l’abbandono) come criterio determinante per ogni cristiano?

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Il Rosario è dire tante volte alla Madonna “ti amo” e dire tante volte a Gesù “grazie per quello che hai fatto e stai facendo per me” nel tuo mistero di Redenzione (che sto contemplando) e che si è realizzato e che si realizza ancora nella vita individuale e nella storia degli uomini.

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Un giorno una ragazza protestante chiese ad un vescovo cattolico che aveva parlato del Rosario: “Perché recitare tante ‘Ave Maria’? Non ne basta una?” Il Vescovo, che aveva notato che la ragazza era insieme al suo fidanzato, le chiese: “Tu preferisci che il tuo innamorato ti dica una sola volta ‘ti voglio bene’, o piuttosto ‘tante volte’?” La ragazza capì.

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I Santi approfittavano di ogni momento per recitare il Rosario. San Pio da Pietrelcina ebbe il privilegio di recitarne tantissimi al giorno. I Santi non sono diventati né degli alienati, né dei disadattati, anzi. Chi più di loro ha capito davvero la vita, i fratelli e ha raggiunto una vera sapienza? Non ci sembra che tanti teologi, che per lo studio hanno abbandonato la preghiera e disprezzato l’ “ingenuità” del Rosario, abbiano raggiunto gli stessi livelli di sapienza.

 Il Rosario per la salvezza delle anime

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Lourdes e Fatima (tanto per citare due apparizioni famose) parlano chiaro. La Vergine, dinanzi al reale pericolo di perdizione delle anime come effetto di un mondo che andava sempre più allontanandosi dalla Legge di Dio, chiese di recitare e diffondere il Rosario. Ella stessa apparve con la Corona fra le mani. Possiamo noi rifiutare questa richiesta?

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Nel celebre Giudizio universale di Michelangelo (1475-1564) della Cappella Sistina, alla destra di Gesù sono raffigurate delle anime che vengono tirate in Cielo grazie a delle corone di Rosario a cui sono strettamente attaccate. Michelangelo non era un teologo, ma aveva pienamente capito la potenza del Rosario. Potenza che è tutta nella grandezza di Maria.

 Il Rosario per la salvezza delle famiglie

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Il disfacimento delle famiglie è sotto gli occhi di tutti. Perché avviene questo? Per un motivo molto semplice: soprattutto perché nelle famiglie non si prega più.

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Teniamo presente che la preghiera è il gesto umanamente più vero: l’uomo non diventa grande quando allarga le spalle, quando rivendica i suoi diritti, ma quando s’inginocchia, perché solo così esprime sinceramente la sua reale dimensione esistenziale, che è quella (è inutile illudersi) della continua invocazione.

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C’è una storiella fantastica che racconta di un uomo con un viso mostruoso, inguardabile; ma egli non lo sa, perché non si è mai specchiato nella sua vita. Ad un certo punto passa un altro uomo che ha un piccolo difetto fisico (il naso un po’ più lungo); ebbene, il primo (quello con il viso mostruoso) inizia a deriderlo, non sospettando che egli è davvero inguardabile. Morale della favola: perché il protagonista è arrivato a tanto? Perché non si è mai specchiato nella sua vita. Ecco: lo specchio è Dio. L’uomo che vive con Dio, si riconoscerà sempre peccatore e, riconoscendosi tale, non potrà permettersi di non perdonare l’altro. Viceversa, colui che vive senza Dio, finirà con il tollerare tutti i propri difetti e manifestare, invece, massima intolleranza verso i difetti altrui. E ciò che si dice nel Pater: Rimetti a noi i nostri debiti, perché noi li rimettiamo ai nostri debitori.”

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Torniamo alla famiglia. Non meravigliamoci che, tolta la preghiera, la famiglia possa diventare “luogo” di continue incomprensioni, di intolleranza e di insopportazione. Jim Caviezel, l’attore che impersonò Gesù nel celebre film The Passion di Mel Gibson, profondamente cattolico (attenzione: era profondamente cattolico già prima del celebre film, tanto è vero che fece scalpore negli USA il fatto che avesse rifiutato un ottimo contratto per un film in cui avrebbe dovuto girare delle scene moralmente discutibili) ha dichiarato in una intervista: “Io e mia moglie preghiamo sempre insieme il Rosario, perché, solo pregando uniti, si può rimanere uniti.” Parole verissime!

 Il Rosario per la salvezza della civiltà cristiana

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Il Rosario non è solo importante per la vita del singolo cristiano ma anche per la civiltà cristiana. A questo proposito i momenti più significativi della storia della nostra civiltà sono direttamente o indirettamente legati alla diffusione di questa pratica di pietà. L’episodio più famoso è senz’altro la Battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), quando l’allora papa san Pio V (1504-1572) bandì una vera e propria crociata del Rosario e ne ottenne una gloriosa vittoria.

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Ma non solo Lepanto. Sull’eresia degli Albigesi, uno storico americano, Henry Lea, pur essendo molto critico verso l’inquisizione medievale, ha scritto: (…) riconosciamo senza esitare che la causa dell’ortodossia non era altro che quella della civiltà e del progresso. Se il catarismo fosse divenuto dominante o soltanto uguale al cattolicesimo, non si può dubitare che la sua influenza sarebbe stata disastrosa.” I Catari, che rifiutavano la procreazione e diffondevano la pratica del suicidio collettivo. Ebbene, la causa dell’ortodossia fu soprattutto sostenuta dalla recita del Rosario praticata e propagandata da san Domenico di Guzman e dai suoi frati, protagonisti nell’inquisizione di quel tempo.

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L’avanzata del Protestantesimo fu arrestata grazie ad una grande intuizione di San Carlo Borromeo (1538-1584). Quando, dopo il Concilio di Trento, egli iniziò la riforma della diocesi di Milano, decise d’introdurre la recita pubblica del Rosario in ogni parrocchia; e così il Protestantesimo non invase la Lombardia.

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Per non parlare del Rosario per convertire la Russia e abbattere il comunismo, indicato a Fatima ai tre pastorelli.

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C’è un fatto poco conosciuto, ma importante. Si tratta della campagna che promosse un frate cappuccino, Padre Petrus Pavlicek, in Austria, nel 1946, intitolata “Crociata riparatrice del Santo Rosario”. Tale iniziativa diede come frutto l’improvvisa ritirata dal suolo austriaco dell’armata sovietica, senza che ci fosse alcun versamento di sangue, e soprattutto senza plausibile spiegazione strategico-militare. Lo stesso cancelliere austriaco Raab, all’epoca, riconobbe la decisiva efficacia di questa iniziativa.

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E la pratica del Rosario chissà quanto altro abbia scongiurato senza che noi lo sappiamo. C’è un episodio molto interessante che riguardò la vita di san Pio da Pietrelcina, importante perché fu raccontato da lui stesso. Stava in preghiera nel coro quando avvertì la necessità di avvicinarsi ad una finestra. Da qui vide una piazza piena di nemici che gridavano a più non posso: “A morte! A morte!..” Si ritrasse dalla finestra, spaventato, vide la Madonna e le chiese aiuto. Allora Ella gli mise fra le mani la corona del Rosario da manovrare come arma. Il Frate con la corona fra le mani si riaffacciò alla finestra e vide cadere a terra, abbattuti, tutti i nemici che fino a poco prima gridavano all’impazzata.

Il Rosario per la salvezza della dottrina

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Quello che stiamo assistendo ai nostri giorni è una forte scristianizzazione che si manifesta con la diffusione di una mentalità relativista (tutte le opinioni sono vere) e nichilista (non esiste alcun valore). La causa sta in un atteggiamento intellettualistico dell’uomo, prima moderno e poi contemporaneo, che ha creduto e che crede di poter essere completamente autosufficiente.

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Ed ecco perché il Rosario da ormai tanti anni viene indicato stesso dalla Vergine come la possibilità di rinascita dell’uomo e della civiltà cristiana. Il Rosario è una “catena”, e non c’è oggetto più lontano dall’autosufficienza della catena, che lega l’uomo. Ma è una “catena” che lega alla Madre, e non c’è persona, più della madre, di cui si ha maggiormente bisogno.

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C’è un fatto innegabile: negli ultimi decenni, per un’orgogliosa mentalità atta a valorizzare un atteggiamento puramente intellettualistico e “adulto” della fede, questa pia pratica è stata abbandonata da molti fedeli, anche da molti sacerdoti e religiosi.

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San Luigi Grignon de Monfort (1673-1716), ne La vera devozione a Maria, scrive che la mancanza di amore alla Madonna è “il segno più infallibile e più indubitabile per distinguere (…) un uomo di cattiva dottrina.”

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Da sempre, infatti, la Vergine Maria è considerata la debellatrice di tutte le eresie. Padre Tinti nel suo celebre Maria, debellatrice delle eresie così scrive: “La Chiesa ha sempre invocato Maria Santissima come debellatrice di tutte le eresie, ed ha introdotto nella sacra liturgia quel versetto che racchiude il più magnifico elogio che si possa fare della Beatissima Vergine: ‘Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses sola interemisti in universo mundo’ (dal Breviario Romano). (…). Ora se la Chiesa ha inserito nella sua liturgia (questo elogio) bisogna ammettere che sino dal tempo apostolico questa fosse una convinzione universale, e cioè che la Beatissima Vergine Maria, Madre di Dio, per i misteri operati in Lei, aveva dato modo di confermare i dogmi della Divina Incarnazione, della reale persona di Cristo e della universale redenzione. Da questi dogmi ne vennero poi gli argomenti che sconfissero le varie eresie. Di qui l’elogio attribuito a Maria SS.ma debellatrice delle eresie.”

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Adesso vediamo di individuare alcuni punti importanti per i quali la devozione alla Madonna davvero diventa la salvaguardia più importante per l’integrità della dottrina. Individuiamo quattro punti.

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Primo: Perché Maria ci ha donato la Verità. Infatti, se Maria non avesse detto di “sì” all’Angelo, sarebbe stato pregiudicato il progetto di Dio. Ce lo siamo chiesti prima: ci sarebbe stata una seconda possibilità? Non lo sappiamo. Può darsi di sì, ma può anche darsi di no. Ragioniamo su questo. L’assenso di Maria Vergine è l’obbedienza. Ella, Nuova Eva, si contrappone alla Prima Eva per la quale entrò il peccato nel mondo. Ciò che rende diversa Maria da Eva è l’umiltà. Eva peccò perché attratta dalla possibilità di “diventare come Dio”; Maria ci ha ridonato la Grazia convinta che l’unica posizione umanamente ragionevole fosse quella di farsi “ancella di Dio”. Ebbene, dietro ogni eresia c’è sempre l’orgoglio. C’è l’intenzione di non voler ascoltare, bensì rielaborare secondo i propri criteri e le proprie ambizioni. Dunque, da questo punto di vista, si capisce bene quanto la devozione mariana serva per ottenere la virtù dell’umiltà.

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Secondo: Perché Maria ha generato la Verità. Maria non si è limitata a donarci la Verità, l’ha anche generata. Ella ha dato il suo contributo. Il Verbo incarnato è l’unione del divino con l’umano. Ebbene, mentre il divino è stato apportato dallo Spirito Santo, l’umano è stato apportato da Maria Vergine. Maria ha dato il suo sangue e il suo nutrimento alla Verità incarnata. Se a Gesù avessero fatto l’analisi del nucleo mitocondriale, avrebbero trovato lo stesso nucleo mitocondriale di Maria. Ragioniamo su questo. Mettersi alla scuola di Maria, vuol dire mettersi alla scuola di Colei che ha generato la Verità. Quale modo migliore di conservare la Verità se non chiedendo l’aiuto a Colei che l’ha generata?

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Terzo: Perché Maria ha portato la Verità nel suo grembo. Anche questo punto lo abbiamo già citato, ma lo riprendiamo. Maria è veramente Madre della Chiesa. La Chiesa è l’unione del divino con l’umano e già Cristo (il Capo) è tutta la Chiesa, per cui si può ben dire che la Vergine ha generato e portato la Chiesa dentro di sé. Ha alimentato la Chiesa con il suo sangue. Questo fatto che la Vergine abbia portato dentro di sé la Chiesa fa capire tutta la connotazione anti-gnostica del Cristianesimo. La Verità è portata dal grembo di una donna, per cui si è chiamati, relativamente alla Verità, ad una dimensione di convivenza e non solo di conoscenza. Le eresie nascono sempre da un approccio alla Verità in senso primariamente intellettualistico. Paradossalmente (ma non troppo) anche in quelle eresie che negano il valore e la propedeuticità della ragione per l’atto di Fede. Il “Caso Lutero” lo dimostra ampiamente: per lui la ragione non aveva valore, eppure cercò nello studio della Scrittura il fondamento delle sue teorie, riducendo il Cristianesimo ad una “religione del Libro”. Così possiamo dire che tutta la deriva in senso intellettualistico della teologia contemporanea ha come causa proprio la voluta dimenticanza della devozione mariana; e nello stesso tempo la voluta dimenticanza di questa devozione è a sua volta causa della deriva intellettualistica della teologia contemporanea.

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Quarto: Perché Maria è l’immacolatezza della Verità. Maria è la purezza in quanto tale. Ella, a Lourdes nel 1858 venne a confermare il dogma promulgato dal beato Pio IX quattro anni prima e disse di sé: Io sono l’Immacolata Concezione. Non disse: Io sono stata concepita immacolatamente, ma Io sono l’Immacolata Concezione. Ovvero: Io sono la Purezza per eccellenza, l’unica purezza esistente nella realtà creaturale. Maria, dunque, ci ricorda come la purezza sia alla base dell’acquisizione della Verità e della sua generazione. Ella fu preservata proprio perché doveva generare il Verbo incarnato. Ragioniamo. Di per sé la perdita della purezza, pur essendo peccato grave, può non essere il peccato più grave, ma è senz’altro il peccato che più compromette la sfera intellettuale. Il rifiuto della purezza è la bestializzazione; e con la bestializzazione c’è la morte del retto intendere e della logica. Non si vive come si pensa, si finisce sempre col pensare come si vive. A tal riguardo, se si approfondisce lo studio della vita privata di molti eretici, si scopre quanto le formulazioni degli errori siano stati preceduti da cedimenti sul piano tanto della disciplina quanto della vita morale.

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Ma c’è un elemento del Rosario che rende questa preghiera l’antidoto per eccellenza a qualsiasi eresia. Ci riferiamo al fatto che questa preghiera è tutta nella contemplazione.

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Il Rosario unisce armonicamente la preghiera vocale (la recita del Pater, dell’Ave e del Gloria) con l’eventuale preghiera mentale (la meditazione dei Misteri della vita di Cristo e della Madonna), ma sicuramente con la contemplazione di questi misteri. La contemplazione non può non esserci: è la base. Scrive padre Stefano Maria Manelli nel suo Ottobre: il mese del Rosario: “La cosa più importante del Santo Rosario non è la recita delle ‘Ave Maria’, ma è la contemplazione dei misteri di Cristo e di Maria durante la recita delle ‘Ave Maria’. La preghiera vocale è soltanto al servizio della preghiera contemplativa (…). La ‘recita’ del Rosario impegna la voce e le labbra, la ‘contemplazione’ del Rosario, invece, impegna il cuore.”

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Ebbene, è proprio in questa priorità della contemplazione (una priorità che è imprescindibilità) che sta la fedeltà alla Verità a cui costringe il Rosario. Il Rosario costringe al vero, perché costringe ai fatti.

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Il Rosario non è un “sentire”, ma un “vedere” e un “contemplare”. E, proprio perché non è un sentire, è l’antidoto a tutte quelle eresie di stampo “neomodernistico” che pretendono ridurre il Cristianesimo a pura esperienza.

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Non è raro in questi tempi notare quanta libertà vi sia nell’adesione alla Dottrina. Ma non è altrettanto raro notare come nell’ambito di certi movimenti ecclesiali non si osi minimamente dissentire da ciò che dica o abbia detto il fondatore. E’ spiegabile. E’ l’esito della riduzione della vita cristiana a pura “esperienza”.

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Non è raro notare che la fedeltà alla Tradizione, che pur si riconosce necessaria dai più, non viene tanto intesa come fedeltà ad una verità che non può essere suscettibile di contraddizione, quanto fedeltà ad un vivere in comune da intendersi soprattutto come dimensione esperienziale. Per cui la fedeltà alla Chiesa non è tanto fedeltà alla Chiesa come perenne Verità salvifica nella storia e giudice della storia, ma come comunità di esperienze vissute dove l’unione comunionale è da intendersi come sostanza permanente nella storia.

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Ebbene, la preghiera del Rosario è proprio il contrario di questa deriva. Perché il Rosario è sguardo sui fatti, cioè sul vero che non cambia né cambierà mai.

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Tanti santi hanno detto che il Rosario, dopo la Santa Messa, è la preghiera da preferire. C’è una logica in questa convinzione. Come la Messa, il Rosario è per il fedele partecipazione all’Evento. Come la Messa, il Rosario è contemplazione di fatti che come tali, e non come esperienze rielaborate dal vivere umano, resteranno immutabilmente tali a produrre valore salvifico.

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Se poi a questo si aggiunge che il Rosario è nella indispensabilità dell’Immacolata nell’evento salvifico, allora tutto diviene più chiaro.

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C’è chi ha detto giustamente che la nascita del Protestantesimo abbia segnato una sorta di “scritturazione” della Bibbia, nel senso che la cosiddetta “Riforma protestante”, ponendo le Sacre Scritture come unica fonte della Rivelazione, abbia cercato d’imporre un approccio ad esse puramente legato alla lettura e alla comprensione letterale.

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Il Cattolicesimo, invece, ha sempre proposto un altro approccio per la conoscenza della Storia della Salvezza: quello dell’immagine, ovvero quello dello sguardo. Questo accadeva nel medioevo (per esempio i portali delle cattedrali con i quali si apprendevano i grandi avvenimenti della Bibbia); proseguì con la cosiddetta “Controriforma” e con la straordinaria arte sacra che ne conseguirà.

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Il motivo è senz’altro nel fatto che il Cattolicesimo in questo modo voleva conservare una priorità del Magistero sulla Scrittura. Ma noi siamo convinti che questa priorità della contemplazione sulla comprensione e dell’immagine sulla scrittura, è perché il Cattolicesimo è contemplare Maria, è attendere di essere da Lei ammaestrati ad amare l’unico fine della vita, che è Dio.

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Una novella di Dino Focenti si offre bene a ciò che stiamo dicendo. La novella s’intitola La coroncina del “teologo”. Leggiamola:

Don Luca aveva concluso un’altra conferenza. Non sapeva nemmeno a che numero fosse arrivato, tante ne aveva fatte. I suoi libri andavano a gonfie vele. Da quando poi quel celebre quotidiano progressista gli aveva affidato una rubrica fissa, non solo lo chiamavano da tutte le parti, ma bastava che si proponesse a qualche casa editrice e subito veniva accettato il suo progetto editoriale. Come si suol dire: i suoi testi si compravano a scatola chiusa. Don Luca univa una grande e indiscutibile preparazione teologica con un altrettanto grande dose di “politicamente corretto”. Aveva l’astuzia di non scontrarsi con il Magistero, ma di chiaramente “invitare” i suoi lettori a sapersi emancipare da un’idea -come soleva dire- “sclerotizzata della Chiesa dove permanesse la dinamica dell’esclusione piuttosto che quella dell’inclusione della storia”. E con questo modo di esprimersi proponeva tutto, ma sempre con garbo e con mellifluo rispetto. Proponeva: la fine del celibato ecclesiastico, il sacerdozio alle donne; fino ad una nuova visione della bioetica e tanto altro ancora. Don Luca era preso dal successo, dalle sue cattedre universitarie, dalla sua rubrica sul quotidiano, dai talk-show televisivi (non mancavano nemmeno quelli) e ovviamente dalle sue conferenze. Parlava, scriveva tanto, ma aveva poco tempo per riflettere e soprattutto per pregare. Certo, la Messa la celebrava, così non mancava la recita dell’Ufficio quotidiano, ma gli mancava da tempo lo sguardo al Signore, la possibilità di contemplare. Non aveva mai amato la contemplazione, la capacità di far silenzio dinanzi al Mistero, così come non aveva mai amato il Rosario, anzi l’aveva sempre ritenuto qualcosa d’infantile: puerile ed immaturo devozionalismo. Lui, invece, si sentiva “adulto” nella Fede e quanto anch’egli si era impegnato per appoggiare quella linea postconciliare che aveva cercato di far allontanare da una pratica (il Rosario) che -a detta di molti teologi- rischiava di far perdere il “cristocentrismo” della fede. Quel giorno però a don Luca accadde l’irreparabile. Accadde che sulla strada del ritorno la sua auto sbandasse sull’asfalto viscido per la pioggia e fece un brutto volo, ribaltandosi più volte. Don Luca fu estratto vivo dall’ammasso delle lamiere. Non perse conoscenza, ma avvertiva che il suo corpo era come marmo: non riusciva a muovere né gambe né braccia. Fece un lungo sonno e si svegliò su un letto di ospedale, ma non quelli soliti, su uno speciale, di quelli fatti apposta per chi rimane paralizzato. Su un ferro del letto qualcuno aveva appeso una corona di Rosario, una di quelle di plastica, che solitamente si distribuiscono per ogni occasione: una coroncina celeste. Qualche infermiera, sapendo che si trattava di un sacerdote, l’aveva messa lì credendo di fare cosa giusta e gradita. Don Luca la fissò, capì che ciò che aveva fatto fino allora non l’avrebbe potuto più fare: non più conferenze, non più talk-show. Capì che da adesso, suo malgrado, avrebbe avuto più tempo per guardare … per guardare il Signore, ed anche per guardarsi, per guardare il suo cuore e la sua condizione, iniziando da una banalissima coroncina di plastica che ogni tanto ciondolava dinanzi ai suoi occhi vivi in un corpo ormai morto.

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Un banale gesto di un’infermiera sconosciuta fece riflettere, forse, chi aveva speso il suo tempo a disprezzare la fede dei semplici, ovvero la fede di chi sa guardare piuttosto che pensare.

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Abbiamo detto prima che nel Cattolicesimo la priorità della contemplazione sulla comprensione e dell’immagine sulla scrittura è perché il Cattolicesimo è contemplare Maria, è attendere di essere da Lei ammaestrati ad amare l’unico fine della vita, che è Dio.

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Una volta come Cammino dei Tre Sentieri scrivemmo su un manifesto che annunciava una nostra iniziativa queste parole: Il Cattolicesimo non è un leggere, ma un guardare; non è un imparare dai libri, ma da una Madre, reclinando il proprio capo sul suo seno, come un bimbo che trova solo in questo modo la sua pace e il suo riposo.

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Negare questa posizione (il reclinare il capo) è negare il senso naturale delle cose: è come negare che l’acqua bagni o il calore asciughi. L’uomo può trovare il suo riposo solo reclinando il suo capo invocando protezione.

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Non è codardia, ma verità. Il cristiano non può rinunciare a rapportarsi eroicamente nei confronti della vita. Il cristianesimo è fatto per i forti, non per i deboli. Attenzione però: abbiamo detto “deboli” non “piccoli”. Non è la stessa cosa.

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Un conto è essere “debole”, cioè vile, pusillanime; altro è essere “piccolo”. “Piccolo” vuol dire capire che si sarà sempre incapaci se non si indirizza la propria vita all’adesione di ciò di cui si ha davvero bisogno. Il bimbo che reclina il capo sul seno della madre per trovare pace e riposo non è debole è piccolo.

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Paradossalmente è proprio chi non vuole farsi piccolo che rischia di essere debole e vile. Chi crede di potercela fare da sé, chi crede di trovare giustificazione del suo essere nel suo essere, è costretto poi a fuggire dinanzi all’incomprensibilità del suo esistere e della realtà.

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In Luca 10 è scritto: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete».

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Dunque, solo chi sa fa “piccolo” può accedere alla vera sapienza e davvero vincere il mondo. Solo chi si abbandona a Dio, può. Ecco perché san Paolo dice: “Io tutto posso in Colui che mi dà la forza” (Filippesi 4) E ancora: “Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio delle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.” (2 Corinti)

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Il Rosario sta proprio qui: non è un leggere, ma un guardare; non è un imparare dai libri, ma abbandonarsi ad una Madre, reclinando il proprio capo sul suo seno, come un bimbo che trova solo in questo modo la sua pace e il suo riposo.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri


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