Per la festa del Papà leggi questa novella

Il regalo per la festa del papà

di Dino Focenti 

Si crede che importante sia ciò che è impetuoso, grande, chiassoso, storicamente rilevante. Non è così. La grandezza, paradossalmente, è proprio nel “piccolo”: nelle piccole affezioni dell’umano.

Tutto questo è tanto più importante quando entra in gioco lo scontro menzogna-verità. Infatti, è proprio quando entra in gioco questo scontro che diventa ancora più evidente la sproporzione grande, grandissima, tra ciò che sembra storicamente rilevante e ciò che invece coinvolge l’affettività di poche persone.

Il protagonista di questo racconto credeva che ciò che aveva vissuto fosse tanto importante da poterlo conservare, a mo’ di trofeo, nel suo cassetto. Poi, all’improvviso, impietosamente, una piccola, piccolissima cosa (un regalo del suo bimbo) gli rivoluziona la mente e lo riconduce verso la concretezza del reale.

La menzogna, ogni menzogna, ha come tratto caratterizzante l’alienazione. La verità, invece, riconduce l’uomo ai suoi bisogni e al riconoscimento delle piccole affezioni. Non è un caso che il Cristianesimo (che è la Verità!) si ponga proprio nella sublimazione di ciò che sembra piccolo, ma che invece costituisce la forza e la grandezza dell’avventura umana. Il semplice sorriso di un bimbo ha una forza notevolmente superiore a qualsiasi istanza ideologica: perché si pone nella prospettiva della verità!

Ogni uomo dovrebbe sapersi riposare contemplando

 l’immagine in cui Gesù Bambino posa il suo capo sulla spalla del suo grande Papà.

Tutte le nostre azioni, tutti i nostri desideri, i nostri progetti…stanno lì, in quella verità che vale più di ogni altra cosa: l’affetto e l’abbandono filiali.

Quando un padre ha un bimbo che gli poggia il capo sulla spalla, quando un bimbo ha una spalla su cui abbandonarsi: tutto questo vale più di ogni parola, di ogni discorso, di ogni costruzione intellettuale.

San Giuseppe è il papà che ha avuto la gioia più bella, quella di avere l’Infinito -il Signore dell’universo intero- che lo guardava negli occhi, che gli sorrideva e che cercava in lui protezione.

***

Roberto quella mattina era contento, molto contento, e non per l’andamento della Banca.

Roberto era un direttore di banca, giovane, ma già affermato; capace e con un grande intuito per gli andamenti finanziari. La direzione generale era molto soddisfatta di lui e forse, tra non molto, si preparava un’altra promozione.

Ma quella mattina Roberto era contento non per il suo lavoro. Lui stesso si meravigliava e sorrideva per quella sua contentezza. Non lo avrebbe mai immaginato: essere felice per ciò che gli avrebbe regalato Dylan.

Dylan era il suo figlioletto di tre anni. Da qualche mese frequentava l’asilo e quel giorno per il papà ci sarebbe stata una sorpresa. Era il 19 marzo, la festa del papà, e il piccolo Dylan gli avrebbe portato un lavoretto fatto all’asilo.

“E’ possibile mai –pensava- che sia tanto felice per così poco?” Eppure Roberto si sentiva felice. Quel pomeriggio non vedeva l’ora di tornare.

Quando rincasò, trovò moglie e figlioletto ad attenderlo. “Auguri, papà!” e Dylan gli porse un pacchetto. A lui non interessava aprirlo; era quel gesto che tanto desiderava. Si commosse. Fissò la moglie e si commosse ancor di più. “Stasera tutti insieme a mangiare una bella pizza!!” comunicò; e prese in braccio il bimbo facendolo girare come una trottola.

Si prepararono e uscirono. Nell’auto cantarono; e allegri entrarono in pizzeria. Prima di sedersi, Roberto disse ai suoi che doveva andare in bagno. Entrò nella toilette e trovò dinanzi un grande specchio; mentre lavava le mani, si fissò. Ancora una volta si disse pensando: come sono felice! E si guardò negli occhi. Ma fu proprio allora che Roberto ricordò e sentì il cuore quasi fermarsi nel petto. Lo specchio era così ben illuminato che non gli fu difficile vedersi impallidire. Non si disse più: “come sono felice!” ma si chiese: “come posso, io, essere felice?” Gli era bastato un attimo e il suo stato d’animo era profondamente cambiato. A lui, che aveva sempre avuto un carattere deciso, mai instabile.

Tornò al tavolo, trattò freddamente i suoi e quasi non riusciva più a guardare il suo Dylan.

“Che hai? Non ti senti bene?” Gli chiese la moglie.

“No, no…è solo un po’ di stanchezza…” Rispose Roberto.

La serata era iniziata bene, forse troppo bene, e ora…e ora andava giù come un funerale. Roberto in silenzio; e la moglie preoccupata a pensare cosa fosse accaduto al marito. L’unico a non essersi accorto di nulla era lui, Dylan, che d’altronde aveva solo tre anni.

La mattina seguente per Roberto fu la stessa cosa: una malinconia diffusa lo pervadeva. Ed era una malinconia che aveva una causa…e Roberto la conosceva molto bene.

Per giorni e giorni si chiese come mai solo allora, perché non ci aveva pensato prima, perché per anni aveva dimenticato tutto. Perché non si era risvegliato il ricordo quando era diventato papà o quando Dylan l’aveva per la prima volta chiamato papà? Ma, invece, era successo adesso. In quella festa del papà in cui il suo figlioletto, per la prima volta, gli aveva portato un regalo. Anzi, tanto non gli interessava il regalo in sé che addirittura non ricordava nemmeno cosa fosse.

I giorni continuavano a passare, ma la malinconia non passava. La moglie lo vedeva triste e Roberto non riusciva più a giocare con Dylan.

Decise di andare da un medico. Gli raccontò tutto e questi, da buon specialista aggiornato, gli disse: “Sono sciocchezze, tutto passerà!”

Altro che sciocchezze! Più passava il tempo e più il rimorso aumentava. Anche nel suo lavoro non riusciva più a rendere come doveva. Fin quando un giorno gli venne un’idea. Corse a casa, cercò e ricercò nel suo studio e finalmente riuscì a trovare un vecchio numero telefonico. Cercava il numero di un vecchio amico, Sergio: lo trovò! Era un amico che non vedeva da più di dieci anni. Telefonò. Gli rispose una voce di una donna anziana: “Ciao, Roberto, che piacere risentirti!” Era la mamma di Sergio. “Vuoi Sergio? Se ti dicessi dov’è, non ci crederesti…Sergio è in convento a (*).” “E che fa in convento?” Chiese sbalordito Roberto. “Fa il monaco!” Rispose la donna come se fosse stata la risposta più naturale del mondo. Roberto rimase di sasso. Non salutò nemmeno e ripose lentamente l’apparecchio.

Quella notte non dormì bene. Il suo pensiero continuava a frullare. La mattina dopo, come sempre, prese l’auto per andare in banca, ma, giunto all’ultimo quadrivio, girò verso la tangenziale. Destinazione: (*)! Occorrevano all’incirca tre ore, ma che importava!

Quando arrivò al convento chiese del suo vecchio amico. Dovette attendere una mezz’ora, forse anche di più; poi vide dal fondo del lungo corridoio avvicinarsi il suo Sergio. Che strano vederlo vestito in quel modo! Anche Sergio lo riconobbe subito, sorrise, accelerò il passo e lo abbracciò.

I due si parlarono per molto tempo e si promisero di rivedersi al più presto.

Ancora una volta era accaduto qualcosa di misterioso nella sua vita. Roberto adesso si sentiva meglio. Aveva riguadagnato la serenità.

Per tutto il tragitto di ritorno ripensò a quello che Sergio gli aveva detto, che avrebbe dovuto fare e che fino ad allora non aveva ancora fatto.

Tornò a casa. Salutò con affetto moglie e figlio e andò subito nel suo studio. Chiuse la porta a chiave e aprì un piccolo cassetto della sua libreria. Prese un raccoglitore, bello, elegante, di velluto rosso, dove aveva archiviato vecchi articoli di giornale, lo aprì, rilesse qualcosa, poi se lo mise sotto il braccio. Riaprì la porta, scese in cortile e lo buttò nel cassonetto della spazzatura.

Roberto aveva finalmente deciso di buttare il suo passato nella spazzatura, soprattutto di buttare le tante sofferenze che anche lui, seppur indirettamente, aveva causato. Quante volte avevano applaudito, lui e Sergio, alla notizia che la “giustizia proletaria” aveva giustiziato un altro servo dello Stato borghese: il carabiniere, il giornalista, il professore, il commissario…eh già! il commissario. Era il 19 marzo del 1977 e nel collettivo si era messo ai voti se colpire l’auto del commissario (*). Lui e Sergio votarono “sì”, quasi tutti votarono “sì”. Nell’auto, oltre l’uomo, vi era anche il suo figlioletto di tre anni. Certo! Erano stati altri a compiere manualmente quel delitto, ma lui e Sergio avevano votato a favore.

Fino ad allora Roberto, pur avendo capito l’inutilità di quelle lotte, aveva sempre giustificato: la guerra è guerra, quegli anni erano quegli anni…Ma questa non era la soluzione. Queste spiegazioni non gli avevano permesso di guardare serenamente gli occhi di suo figlio.

Roberto risalì le scale. Entrò in casa, ritornò nello studio, prese il regalo che Dylan gli aveva fatto per la festa del papà. Era un brutto (ma quanto sembrava bello!) portapenne fatto con mollette per i panni, con la scritta “auguri, papà”, e per di più sporco di colla rassodata.

E Roberto lo pose in quello stesso cassetto ch’era finalmente vuoto.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri


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