5 aprile 1588 nasce Thomas Hobbes. In poche parole ti spieghiamo quanto sia nefasto il suo pensiero

di Corrado Gnerre

Con l’inglese Thomas Hobbes (1588- 1679) siamo ormai allo sganciamento totale dall’ordine naturale delle cose, si arriva finanche a dire che è giusto abbandonarsi totalmente al mostro, in questo caso al “mostro” del potere.

Hobbes nacque a Malmesbury nel 1588 e morì a Hardwicke nel 1679. Le sue opere più importanti sono: Leviatano (1651) e Elementi di legge naturale e politica (1642).

Hobbes riprende Cartesio, ma a metà, nel senso che ritiene che il vero oggetto della filosofia sia la res extensa (ovvero il corpo materiale ed esteso).

Le idee -per Hobbes- sarebbero solo l’effetto finale di azioni puramente meccaniche e materiali, azioni prodotte dai corpi in movimento. Insomma, l’attività intellettiva scaturirebbe solo da fattori materiali.

il suo pensiero, pertanto, non può che cadere nel nominalismo, cioè nella convinzione secondo cui i concetti sarebbero sempre individuali e singoli, mentre gli universali altro non sarebbero che nomi dati ai concetti, frutto di una convenzione.

Hobbes, però, è famoso soprattutto per il suo pensiero politico. Pensiero che ovviamente è esito del suo convinto materialismo meccanicista.

Dal momento che ogni vera conoscenza deve esercitarsi attraverso l’individuazione di un processo causale e dei suoi effetti (meccanicismo), allora anche la politica deve essere indagata come un processo meccanico e lo Stato altro non sarebbe che un corpo artificiale, da costruire meccanicamente e “geometricamente”.

Questa posizione hobbesiana di vera e propria “statolatria” (lo Stato è tutto) è anticamera anche di posizioni completamente diverse (come, per esempio, quella anarchica) perché in essa lo Stato non figura come una realtà naturale ma solo artificiale, e quindi eventualmente eliminabile.

Il suo pensiero politico è legato ovviamente alla sua antropologia, anch’essa a sua volta legata al materialismo meccanicista. Hobbes dice che l’uomo, tutto proteso alla realizzazione dei suoi istinti, sarebbe in natura cattivo e quindi nemico dell’altro: homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’uomo) e questa situazione farebbe in modo che in natura ci sia il bellum omnium contra omnes (la guerra di tutti contro tutti).

Da questo terribile stato di cose nascerebbe l’esigenza dello Stato. Questa nascita -afferma Hobbes- sarebbe del tutto artificiale, in quanto gli uomini mediante un patto deciderebbero di sottomettersi ad un potere in grado di obbligarli a rispettare le norme e ad instaurare una -per quanto possibile- pacifica convivenza. Scrive nel Leviatano (II, XVII): “(…) l’accordo (…) degli uomini è solo per convenzione, cioè artificiale; per questo non fa meraviglia che qui si richieda qualche altra cosa, oltre al patto convenuto, per rendere l’accordo costante e duraturo, cioè un comune potere capace di tenere gli uomini in soggezione e di dirigere le loro azioni verso il bene comune.”

Siamo alle radici di quello che poi sarà il positivismo giuridico: solo la legge conta, non la corrispondenza della legge con la verità.

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