SOSTA – Senza l’umiltà, non si va da nessuna parte. Parola di sant’Alfonso!

Rubrica a cura di Corrado Gnerre

L’umiltà salva l’uomo. Essa non è la virtù più grande (è la carità la virtù più grande), ma è senz’altro quella più importante, perché, senza di essa, non sono possibili le altre virtù. Come una collana: le singole perle valgono, il filo no; ma se non c’è il filo, le perle non possono rimanere unite formando la collana. L’umiltà è il filo che tiene unite le perle. A proposito dell’importanza dell’umiltà, leggiamo cosa scrive sant’Alfonso Maria dei Liguori nel suo Vita della salute.

Chi non è umile, non può piacere a Dio, il quale non sopporta i superbi. Egli ha promesso di esaudire chi lo prega, ma se lo prega un superbo, il Signore non l’esaudisce; agli umili invece diffonde le sue grazie. L’umiltà si distingue in umiltà d’affetto ed umiltà di volontà.
L’umiltà d’affetto consiste nel considerare noi stessi per quelli miseri che siamo, che niente sappiamo e niente possiamo, se non far male. Quanto abbiamo e facciamo di bene, tutto viene da Dio. Veniamo alla pratica. In quanto all’umiltà d’affetto dunque, per primo non mettiamo mai confidenza alle nostre forze ed ai nostri propositi; ma diffidiamo e temiamo sempre di noi. Diceva S. Filippo Neri: “Chi non teme, è caduto”. Per secondo non ci gloriamo mai delle cose nostre, come dei nostri talenti, delle nostre azioni, della nostra nascita, dei nostri parenti e simili. Perciò è bene che non parliamo mai dell’opere nostre, se non per dire i nostri difetti. Ed il meglio è non parlar mai di noi, né di bene, né di male: perché anche nel dirne male, sorge spesso in noi la vanagloria d’esser lodati, o almeno d’esser tenuti per umili, sicché l’umiltà si riduce a superbia. Per terzo non ci sdegniamo con noi stessi dopo il difetto. Ciò non è umiltà, ma superbia, ed è anche arte del demonio per farci diffidare in tutto e lasciare la buona vita. Quando ci vediamo caduti (…) umiliamoci e subito rialziamoci dal difetto commesso con un atto d’amore e di dolore, proponendo di più non ricadervi e confidando nell’aiuto di Dio. E se per disgrazia ritorniamo a cadervi, facciamo sempre così. Per quarto vedendo le cadute degli altri, non ce ne ammiriamo; ma compatiamoli e ringraziamo Dio di non aver permesso che peccassimo anche noi, pregandolo a tenerci le mani sopra; altrimenti il Signore ci punirà con permettere che cadiamo negli stessi peccati e forse peggiori di quelli. Per quinto stimiamoci sempre i maggiori peccatori del mondo; e ciò quantunque sapessimo che altri abbiano più peccati dei nostri; poiché le nostre colpe commesse dopo tanti lumi e grazie divine peseranno più avanti a Dio, che le colpe degli altri, benché in maggior numero. Scrive S. Teresa: “Non credere d’aver fatto profitto nella perfezione, se non ti consideri il peggiore di tutti, e non desideri d’esser posposto a tutti”.
L’umiltà poi di volontà consiste nel compiacerci d’essere disprezzati dagli altri. Chi ha meritato l’inferno, merita d’essere calpestato dai demoni per sempre. Gesù Cristo vuole che impariamo da lui ad essere mansueti ed umili di cuore (Matteo 11. 29). Molti sono umili di bocca, ma non di cuore. Dicono: “Io sono il peggiore di tutti: merito mille inferni”. Ma poi se uno li riprende, o gli dice una parola che non piace, si voltano con superbia. Questi fanno come i ricci, che subito che appena sono toccati, si fanno tutti spine. Ma come? Il vero umile, dice san Bernardo, si stima vile e vuol essere riputato vile anche dagli altri. Per primo dunque, se volete essere vero umile, quando ricevete qualche ammonizione, ricevetela con pace e ringraziate chi v’ammonisce. Dice il Crisostomo che il giusto, quando è corretto, si duole dell’errore commesso; ma il superbo si duole che sia conosciuto l’errore. I santi anche quando sono incolpati a torto, non si difendono, se non quando la difesa è necessaria per evitare lo scandalo degli altri, altrimenti tacciono e tutto offrono a Dio. Per secondo allorché ricevete qualche affronto, sopportatelo con pazienza ed accrescete l’amore a chi vi disprezza. Questa è la pietra di paragone per conoscere se una persona è umile e santa. Se ella si risente, ancorché facesse miracoli, dite ch’è canna vacante. Diceva il Padre Baldassarre Alvarez che il tempo delle umiliazioni è tempo di guadagnare tesori di meriti. Guadagnerete più nel ricevere con pace un disprezzo, che se faceste dieci digiuni a pane ed acqua. Sono buone le umiliazioni che facciamo da noi stessi, ma molto più vale l’accettare le umiliazioni che dagli altri vengono fatte a noi, perché in queste vi è meno del nostro, e vi è più di Dio; onde vi è assai maggior profitto, se lo sappiamo sopportare. Ma che sa fare un cristiano, se non sa sopportare un disprezzo per Dio? Quanti disprezzi Gesù Cristo ha sofferto per noi? Schiaffi, derisioni, flagelli, sputi in faccia! Eh se portassimo amore a Gesù Cristo, non solo non avremmo risentimento negli affronti, ma ce ne compiaceremmo vedendoci disprezzati, come fu disprezzato Gesù Cristo.

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