SOSTA – Mazzini? Un rivoluzionario “per corrispondenza”

Scrive Elena Bianchini Braglia su “Radici Cristiane” n.178


(…) Mazzini (…) in effetti muore da sconfitto: le sue insurrezioni sono tutte fallite, i popoli, che sotto la sua guida spirituale dovevano insorgere, non sono insorti e se alla fine lo Stato Pontificio è crollato e l’unità d’Italia si è compiuta come lui voleva, è stato per il trionfo di Casa Savoia.

(…)

Le sue idee, quella spiritualità astratta e caotica, quella non-religione che aveva come unico scopo di danneggiare il cattolicesimo, sarebbe stata presto rivalutata, propagandata e diffusa. Il suo forse figlio carnale  e di certo spirituale, Ernesto Nathan -uno dei personaggi indubbiamente più influenti della nuova Italia-, è già all’opera. Al suo fianco lavora indefessamente Adriano Lemmi, il discepolo prediletto di Mazzini, il regista di gran parte dei suoi attentati.

La morte di Giuseppe Mazzini segna dunque un passaggio fondamentale: da lì parte la costruzione del mito (…).

Il valore di Mazzini non sta nella politica, il suo contributo alla “causa” è insignificante sul piano militare, ma irrinunciabile sul piano ideologico.

Quello che si vuole promuovere è dunque il Mazzini pensatore, spiritualista. Il Mazzini frequentatore di logge e società esoteriche. L’amico di Albert Pike -il “papa” della massoneria americana- , col quale aveva stretto un sodalizio, fino alla fondazione del New and Reformed Palladian Rite. L’amico di John Yarker, noto occultista della Societas Rosicruciana in Anglia e di Helena Blavatskij, fondatrice della teosofia e attivista nell’Ordine di Memphis, con lo scopo dichiarato di riunire in una sorta di sincretismo religioso tutte le nuove forme di spiritualismo.

Per esaltare dunque l’ideologo (…) si dimenticano e si fanno dimenticare le tante ombre che offuscano l’uomo. Si mettono a tacere le tante accuse, spesso mosse dai suoi stessi collaboratori. L’accusa di terrorismo, innanzitutto. Pierre Milza lo definirà “il padre del terrorismo italiano” ed, infatti, già con la Giovine Italia Mazzini mette a punto la “dottrina dell’assassinio”, la “teorica del pugnale”. Poi l’accusa di aver sacrificato giovani vite in un’attività cospirativa vilmente condotta dietro le quinte. Mazzini fa la rivoluzione “per corrispondenza”, scrive sarcastico Garibaldi. In effetti sta sempre a Londra. Nemmeno salpa coi Mille, arrivando casualmente tardi all’appuntamento.

(…)

Il suo coraggio è nelle parole, la sua tenacia nel mandare a morire gli altri. Cattaneo gli rimprovera d’aver sacrificato amici e discepoli “in progetti intempestivi ed assurdi”, Marx sul New York Daily Tribune condanna le “rivoluzioni improvvisate”, che terminano in inutili sacrifici umani.

il suo primo esperimento è nel 1833. Organizza una grande rivolta in Piemonte, ma il governo sabaudo scopre tutto subito e Carlo Alberto, che ancora non ha del tutto colto la vocazione di “liberatore2, mette in moto la macchina della repressione: 27 condanne a morte, di cui 12 eseguite, un centinaio di condanne a pene carcerarie e numerosi esili. L’amico più caro di Mazzini, Jacopo Ruffini, si suicida in carcere. E’ il primo grande incontro di Giuseppe Mazzini con la morte da lui causata. Un periodo di crisi, da lui stesso definito “la tempesta del dubbio”, non lo ferma: nemmeno un anno dopo preparar con Garibaldi un’invasione militare del Piemonte. Il popolo, che secondo lui sarebbe subitaneamente insorto, non si muove. Molti vengono arrestati, qualcuno fucilato, Mazzini si rifugia a Londra e Garibaldi in America. Sono questi solo i primi di una lunga serie di insuccessi, che costeranno la vita a poveri illusi: giovani che Mazzini manda a sobillare popoli, che non hanno nessuna intenzione di sollevarsi, a organizzare spedizioni destinate a finire in tragedia.

Come molti teorici della rivoluzione, Mazzini tende a fantasticare, non conosce gli uomini.

Altro danno politico è quel caparbio rifiuto del federalismo, probabilmente dovuto ad una sudditante alle potenze straniere, che sponsorizzano il risorgimento. Cattaneo amareggiato prende atto del fatto che “il Piemonte preferì  a una leale federazione le fusioni mazziniane”. Può darsi che, nel suo utopismo, Mazzini abbia veramente pensato che popoli tanto diversi, con costumi e idiomi propri, avrebbero potuto magicamente “fondersi” senza che ciò causasse enormi problemi? Ermanno Gruber, in un documentatissimo saggio basato su scritti mazziniani, azzarda un giudizio: “Mazzini era un grande ingannatore”. Un bugiardo, dotato delle capacità di sedurre e farsi obbedire. Pieno di sé, convinto di essere il portavoce “dell’Umanità con la U maiuscola”, che “altro non è che Dio”. (…). Il pur liberale Gino Capponi ironicamente modifica il noto motto mazziniano “Dio e il popolo” nel più emblematico “io e il popolo”. (…). Nello Rosselli lo definisce “il Calvino della Rivoluzione”, ammettendo che Mazzini certo non è “il tipico autoritario che vuole il bene del popolo, ma preferisce imporgli lui quello che egli crede sia il suo bene.”


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1 Comment on "SOSTA – Mazzini? Un rivoluzionario “per corrispondenza”"

  1. Carla D'Agostino Ungaretti | 30 Giugno 2023 at 9:14 | Rispondi

    Già al tempo del mio antico liceo classico mi domandavo come mai Mazzini fosse riuscito a entrare nel quartetto risorgimentale (Vittorio Emanuele, Cavour, Garibaldi, Mazzini) che ci propinavano i Corsi di Storia per i Licei degli anni ’40 e ’50 del XX secolo. Ma forse perché era già in buona compagnia: gli altri personaggi erano anche loro prontissimi a fare la rivoluzione (sia pure chiamandola con un altro nome) invadendo un altro Stato e derubandone il legittimo Sovrano, dimenticando che quel trono gli apparteneva da quasi due millenni ed era molto più antico di quello di quel Vittorio Emnuele che volle chiamarsi Re d’Italia.

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