Una bellezza della Verità Cattolica: il dolore è amore!

di Padre Serafino Tognetti, in “Presenza Divina”, n.333, maggio 2021. Titolo originale: “Il dolore è l’amore”.


Scrive don Divo Barsotti: “La maggior gloria a Dio non la danno gli architetti che costruiscono le cattedrali, non i grandi teologi che scrivono i trattati di teologia, ma le anime vittime, che, riparando il peccato, fanno più bella la creazione.”

Certo, il mondo che vediamo offeso dal peccato degli uomini è brutto, ma, riparando il peccato, quindi soffrendo, io faccio più bella la creazione perché do gloria a Dio: quando il peccato viene cancellato, la gloria di Dio ritorna nel suo splendore.

E’ come ripulire una casa tutta sporca, piena di polvere, di macchie; arriva uno con lo spazzolone e in mezz’ora pulisce tutto: fa la casa più bella perché ha tolto lo sporco, nel nostro caso ha tolto il peccato.

Chi sono queste “anime vittime”?

Siamo noi cristiani, noi battezzati che partecipiamo al sacrificio di Cristo.

Lo dice san Paolo nella Lettera ai Romani: “Vi esorto, fratelli, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. E’ questo il vostro culto spirituale” (12,1).

In proposito commenta Divo Barsotti: “Volenti o nolenti, siamo delle vittime nella misura in cui vogliamo essere cristiani.”

Siamo tutti delle vittime, e non dobbiamo aver paura, perché nella nostra sofferenza continua la passione di Cristo.

Ed ecco allora, nel dolore, nella sofferenza, la nostra dignità nel trasformare tutto in un atto di amore dicendo: “Signore, in questo momento sto soffrendo, sono pieno problemi, di malattie, di pene interiori ed esteriori, ma le offro unendole alla Tua passione per il bene dei fratelli, come atto d’amore.” E potete dire anche il nome: per quel fratello, per quella sorella, per quella situazione.

Un episodio nella vita del beato don Carlo Gnocchi ci chiarisce tale offerta. Era cappellano militare; un giorno durante la seconda guerra mondiale, celebrò la Messa da campo in una zona di fortuna. Quando ci fu da preparare il calice il suo chierichetto si accorse di non avere l’acqua. Il sacerdote chiese ai soldati presenti: “C’è nessuno che ha un po’ d’acqua?” Un militare prese dalle sue cose la borraccia e la porse al sacerdote, che versò poche gocce d’acqua nel calice insieme al vino. Alla sera quel soldato scrisse una lettera alla sua mamma: “Pensa, mamma, oggi io ho dato l’acqua da mettere nel calice per la Santa Messa, è venuta dalla mia borraccia, e quella mia goccia d’acqua è diventata sangue di Cristo.” Questo soldato ebbe la percezione che la sua goccia d’acqua, messa nel grande calice che è il Sangue di Cristo che salva e lava i peccati del mondo, era la sua piccola partecipazione al sacrificio divino.

Ebbene -si chiede Barsotti- perché Dio permette il dolore? E risponde: “Dio permette il dolore perché ci ama”.

Per questo ci chiede di voler soffrire con Lui.

Certo, Dio ci vuole unire a Sé, ma unendoci a Lui ci chiede di vivere la Sua Passione, perché Egli ama gli uomini e li vuole salvi, e il prezzo è la sofferenza che ripara il peccato. Dio non vuole la sofferenza per se stessa. Egli è amore infinito. Ma c’è il peccato dell’uomo che deve essere riparato, e io posso collaborare vivendo la mia unione con il Signore.

Gesù non è venuto nel mondo per soffrire, ma, amando, si unisce a noi ne prende su di Sé il castigo riservato ai peccatori.

Secondo don Divo Barsotti “Dio ci fa un grande onore non quando ci dà qualcosa, ma quando ci chiede qualcosa.” Allora, unendoci a Sé, ci chiede di soffrire per il mondo.

Santa Veronica Giuliani, una grandissima mistica del XVII secolo, un giorno chiese a Gesù: “Gesù, voglio amare con il Tuo Cuore.” E il Signore (che le appariva) rispose: “Hai chiesto una cosa grande, però te la concedo.” Ebbene, da quell’istante preciso sapete cosa sentì Santa Veronica Giuliani? Avvertì un bisogno enorme, insopprimibile, di soffrire.

Amando, con il cuore di Gesù, la Santa avvertiva il bisogno di soffrire partecipando con Gesù al solo atto per il quale i peccatori vengono purificati.

Sì, devo sapere che una mia sofferenza, messa nel calice di Gesù, può salvare un peccatore che in questo momento sta morendo in Nuova Zelanda o in Cile.

Certo, il Signore non mi apparirà il giorno dopo a dirmi: “Guarda, hai salvato un’anima”, ma non occorre avere questa rassicurazione.

Per questo scrive don Barsotti: “Non c’è niente di più grande del dolore, in  questo mondo, perché il dolore è amore.”

Il dolore è l’amore: non c’è niente di più grande.

Non lasciamoci ingannare dalla visibilità e dalle apparenze.

Chi è che salva il mondo? Forse il progresso? Gli scienziati? Gli uomini della politica? No, il mondo lo salva la vecchietta del terzo piano del vostro condominio, che in questo momento sta soffrendo e offrendo, e sta dicendo: “Gesù, io ti offro queste sofferenze per tutto il mio palazzo.”

Se vi salvate l’anima può darsi che lo dobbiate a queste persone che in silenzio soffrono per voi, e sono più numerose di quanto forse pensiamo.

Questo possiamo farlo anche noi nelle prove che abbiamo.

Se adesso voi offrite la vostra sofferenza, qualunque essa sia, a Gesù, può essere che un’anima in Nuova Zelanda parta purificata per il Cielo, che un peccatore in Cina si converta, che un uomo in Alaska cambi completamente la sua vita, perché con la vostra sofferenza vi siete messi dalla parte di Cristo, dalla parte di Gesù che salva il mondo.

Questa è la vera solidarietà.

Di solito si dice: “Dobbiamo essere vicini ai fratelli, solidali con loro.” Ma la vera solidarietà non è questa! “Il mondo- scrive Barsotti- può fare a meno di tutto, ma non di anime che facciano presente il sacrificio di Cristo.”

E’ questo il senso della presenza della Chiesa nel mondo, che attraverso queste anime continua ogni giorno la purificazione dei peccati.

Allora voi capite che più anime vittime ci sono, più la terra viene purificata.

Il mondo scarica il male sulla Chiesa, ed è giusto che sia così, perché la Chiesa è l’unica realtà, in Gesù, che purifica dal male, che toglie i peccati del mondo anche attraverso la mia partecipazione.

Quando Gesù appare o si manifesta alle anime mistiche, non chiede mai di prendere parte alla Sua Gioia, ma di partecipare al Getsemani.

Per la gioia pura abbiamo tutta l’eternità, il Paradiso, dove, se ci andremo, staremo per i secoli dei secoli, mentre per salvare i fratelli abbiamo solo questi pochi anni.

Ecco perché, quando Gesù chiede qualcosa ai suoi amici, dice: “Soffrite con me per la salvezza del mondo.”

San Paolo della Croce, il fondatore dei Passionisti, arrivò alla cosiddetta “unione trasformante”, ossia il legame più profondo che si possa avere con Dio, all’età di 29 anni. Morì a 82 anni. Chissà come sarà stato pieno di gioia -penserete- dai 29 agli 82 anni, se da giovane aveva toccato l’apice della sua esperienza mistica! Fu esattamente il contrario: dai 29 agli 82 anni egli visse una desolazione interiore, una sorta di buio; quasi si sentì maledetto, però non perse la Fede e continuò a compiere atti di carità, atti di amore. E questo proprio perché era stato trasformato in Cristo; proprio perché era unito a Lui egli donò la sua offerta al padre a vantaggio del mondo: “Ecco, Signore, sono una vittima per te, voglio salvare il mondo con Te.”

Questo vale anche per Santa Teresa di Gesù Bambino, morta a soli 24 anni. Un giorno scrisse: “Io voglio essere il salvagente che si butta nel mare a cui tutti i peccatori vanno ad attaccarsi per salvarsi, per non annegare. Voglio essere io.” Un’audacia incredibile!

Ebbene, il Signore ascoltò questa preghiera e ‘accettò.

Allora io vi chiedo: perché dobbiamo salvare un’anima sola in Nuova Zelanda o in Cina, sapendo che tante anime possono essere salvate ad ogni atto di offerta? Cerchiamo di essere sempre più generosi, più audaci con il Signore!

Don Luigi Orione, il giorno della sua prima Messa, disse davanti a tutta l’assemblea: “Oggi ho chiesto al Signore una grande grazia; e siccome è la mia prima Messa, il Signore mi ascolterà. Ho chiesto che tutti coloro che io incontrerò nella mia vita vengano salvati e che un domani vengano con me in Paradiso.” Quando terminò la Messa andò in sagrestia; il rettore del santuario lo rimbrottò:” Forse hai un po’ esagerato… Com’è possibile che tutti quelli che ti incontreranno, che parleranno con te anche per la strada vadano in Paradiso solo per il fatto che ti avranno conosciuto? Non ti sembra di aver sparato un po’ troppo in alto?” E don Orione, questo pretino di 23 anni, rispose: “Monsignore, come lei conosce poco il Signore!” Questo linguaggio, infatti, lo capiscono solo i piccoli. Essi non hanno bisogno di spiegazioni, intuitivamente capiscono che questa è la vera missione del cristiano: salvare il mondo. Alcuni dicono: ma a cosa serve andare a Messa, se poi dobbiamo soffrire come gli altri? E’ lì il bello: io soffro come gli altri, ho le mie prove, però partecipo, cioè metto la mia goccia d’acqua nel grande calice di Gesù.

E la mia goccia d’acqua salva il mondo con Gesù.

Nella Messa Gesù imprime il Suo Volto in noi.

Se io accetto, se io Gli dico di sì, Egli mi dà la Sua pace e il suo amore.

Non vi basta questo?

Quando Gesù dice: “Io ti amo; se tu sei unito a Me così strettamente da vivere la passione per la salvezza del mondo, Io ti do in cambio il Mio amore.”

Questo è il dono più grande che Dio possa fare ai Suoi figli.


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