di Corrado Gnerre
Domenica scorsa per la prima volta una donna ha arbitrato una partita di Serie B.
Prendiamo spunto da questa notizia per allargarci sul cosiddetto calcio femminile e capire perché, anche questo argomento, possa avere un valore apologetico.
C’avete fatto caso? Tutti i media da un po’ di tempo a questa parte stanno promuovendo il calcio femminile. Se ne parla nelle rubriche sportive e un po’ dappertutto.
Insomma, è manifesto che non solo tutti sappiano come va il calcio femminile, ma che se ne appassionino anche.
Eppure lo sanno anche i fili d’erba di uno stadio: il livello del football femminile non può competere con quello maschile. Se a chi scrive proponessero una sfida tra il Pizzighettone e il Gorgonzola in versione maschile o un Barcellona-Real Madrid in versione femminile, questi non avrebbe dubbi a scegliere la prima. Su una chat, a proposito del livello calcistico femminile, un signore un giorno scrisse: “Calcio femminile? Ridicolo. Mi è capitato di vedere qualche partita di professioniste che è tutto tranne calcio. E poi vedere una donna che gioca a pallone con gli scarpini fa lo stesso effetto di vedere un maschio giocare con i tacchi a spillo.”
Ci sono sport in cui il livello femminile è alto. Addirittura in alcuni può essere quasi alla pari degli uomini. Si pensi alla ginnastica. Nel nuoto sincronizzato, nel pattinaggio, nell’equitazione… le donne possono persino raggiungere il massimo. Ma negli sport dove la dimensione muscolare è fondamentale, il dislivello tra specialità maschili e femminili è e rimarrà enorme e incolmabile. E’ un fatto genetico, di natura.
E qui sta il punto: di natura! Proprio questa questione ci ha spinti a scrivere un articolo del genere su un sito come il nostro.
Il timore è che anche il calcio sia utilizzato per compiere la nefasta rivoluzione gender. D’altronde sul portale di google nei giorni in cui si giocava l’ultimo Campionato del Mondo di calcio femminile (Francia 2019) campeggiava l’annuncio dell’evento, dopo che nei giorni immediatamente precedenti un’altra schermata aveva pubblicizzato il giugno-pride.
Dicevamo: rivoluzione gender. Le differenze di natura sarebbero solo quisquiglie e pinzellacchere (direbbe il buon Totò), dati relativi e modificabili. Ciò che conta sarebbero invece: il dato culturale, la scelta che si esprime, il desiderio personale. E in favore di ciò dovrebbe coagularsi: consenso, attenzione, sostegno e anche giuridico riconoscimento. Costi quel che costi.
Ma la realtà è realtà e il pallone è pallone… e un “sombrero” di un Pelé in gonnella sarebbe buono solo per essere appeso alla parete.
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri
Per comprendere come il calcio femminile sia un fenomeno strumentalizzato dalla propaganda progressista e genderista, basta osservare gli investimenti che le più grandi società calcistiche di Seria A hanno dovuto affrontare, per potersi dotare di una squadra femminile: staff tecnico, staff medico, rose ampie, ecc. In un periodo come questo, in cui il denaro scarseggia e si fatica a realizzare grandi acquisti al fine di rinforzare le squadre (maschili), le società sono “costrette” ad investire nel calcio femminile. Calcio femminile di Serie A che di tanto in tanto seguo, e che trovo certamente migliorato rispetto alla qualità espressa sino a pochi anni fa. Resta il fatto, però, che la differenza qualitativa rispetto al calcio maschile resta enorme, e che vedere una donna cimentarsi in certi sport (calcio, rugby, ecc.) non è bello (quando la femmina scimmiotta il maschio non è mai bello, così come quando il maschio fa altrettanto). In conclusione, con tutto il rispetto per le persone che nutrono una sincera passione sportiva e senza fini ideologici, credo si possa serenamente affermare che il calcio femminile, in questi ultimi anni, è palesemente strumentalizzato dall’ideologia progressista nella sua guerra contro l’ordine naturale.