SOSTA: L’assenza del padre e le sue conseguenze

di Giulia Tanel, da SOS ragazzi

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La sensazione è quella che la figura maschile, e quindi anche della paterna, sia fragile, se non addirittura evanescente… schiacciata di fronte a un femminile che si fa sempre più spazio, in parte in risposta alla tendenza socioculturale dell’emancipazione del gentil sesso, in parte per dovere di surroga rispetto al venir meno del ruolo maschile.

Una constatazione, questa, che si rende visibile finanche esteriormente: abbiamo oggi giovani uomini che curano nel dettaglio l’aspetto fisico e l’abbigliamento e adolescenti dalle corporature esili e ndai tratti sempre più femminei.

Dove ha origine questa progressiva distruzione del codice paterno e dell’identità maschile?

La risposta è complessa e, secondo alcune correnti di pensiero, l’avvio del fenomeno va ricercato già alla fine del Settecento nella rivoluzionaria Francia, con la decapitazione di re Luigi XVI quale primo atto di ribellione all’autorità, alle regole. Lo scrittore Honoré de Balzac, per esempio, ebbe a dire: “Quando abbiamo tagliato la testa al re, abbiamo decapitato tutti i padri di famiglia.”

A seguire, nel corso dell’Ottocento, la tendenza a emarginare la figura maschile si sviluppò principalmente in campo educativo, con una delega sempre maggiore alle madri legata al fatto che gli uomini si ritrovarono impegnati quali attori economici nella società industriale.

Nel secolo scorso, quindi, un ulteriore indebolimento della figura paterna si sviluppò quale diretta conseguenza dei due grandi conflitti mondiali: furono infatti moltissimi gli uomini costretti ad abbandonare moglie e figli per partire per il fronte, rimanendo assenti per anni o, addirittura, non facendo più ritorno.

Se fino ad ora si è parlato dunque di indebolimento della paternità, con le generazioni dei nati a seguito dei conflitti bellici comincia a prendere forma anche una crisi dell’identità maschile in quanto tale: un “sapere” identitario che, pur essendo in parte veicolato da un bagaglio di competenze innate di natura biologica, si compone anche di informazioni trasmesse dall’ambiente di appartenenza, e soprattutto di padre in figlio.

Lo psicoterapeuta Cladio Risé sottolineava in un intervento pubblico nel 2016: “Da dove viene questa crisi ‘del maschile’? Viene dal fatto che nella società moderna avanzata è venuta meno l’iniziazione maschile: tutti nasciamo dal ventre di una donna e maschi si diventa attraverso una serie di iniziazioni che portano alla consapevolezza della propria sessualità, con dei dati naturali costitutivi ma anche vicende particolari che lo differenziano da una donna. Nella società pre-industriale i maschi andavano con il papà a lavorare, poi tutto questo è venuto meno ed è prevalsa la formazione ‘neutra’, perché quel che importa è la produttività. Ci troviamo quindi in una situazione antropologicamente nuova: il maschio diventa maschio senza che nessuno lo aiuti a diventare tale.”

Crisi del maschio e crisi del ruolo paterno, dunque. Ed è qui che s’inseriscono due eventi della seconda metà del Novecento che hanno avuto una portata socio-culturale determinante e che hanno inflitto uno dei colpi forse più duri e pervasivi: il Sessantotto e il femminismo.

Il primo movimento si è infatti mosso in contrasto con il codice paterno, negando ogni regola -della quale il padre è figura- in nome di una libertà urlata sotto lo slogan “proibito proibire”.

Dal canto suo, invece, il femminismo ha agito di fatto attuando un’opera di svilimento dell’identità maschile.

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“Per contrastare la prepotenza -scrive la psicoterapeuta Mariolina Ceriotti Migliarese- la donna sta, senza saperlo, contribuendo a rendere l’uomo impotente, senza capire che impotenza e prepotenza sono entrambe degenerazioni del vero dono del maschile, quello della potenza buona, feconda e fecondante di cui il mondo e anche la donna continuano ad avere estremo bisogno.”

da ultimo, negli anni del Novecento ha cominciato a diffondersi l’ideologia gender, volta a negare il dato biologico della sessualità in favore di una supremazia del fattore “culturale”, per cui ognuno può decidere se essere maschio o femmina. Un processo che va verso l’affermazione di un’identità neutra, che ha valore all’interno della società essenzialmente in quanto possibile fonte di consumo.

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Il fatto poi che, oltre a quanto riportato, i ragazzi di oggi presentino maggiori difficoltà scolastiche, un elevato tasso di aggressività, una difficoltà nell’instaurare relazioni con i pari e di coppia, una bassa autostima e un’ansia elevata, fino ad arrivare ad un possibile sviluppo della tendenza omosessuale non sono altro che alcune delle conseguenze più comuni legate all’assenza del padre.

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Affinché tutto questo subisca una battuta d’arresto e un progressivo cambio di rotta, è dunque necessario che l’uomo (…) decida d’investire seriamente in un lavoro archetipico di riscoperta della sua identità maschile e della sua vocazione paterna, in opposizione alla liquidità identitaria, relazionale e sociale che si è ormai vista non essere generativa.

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