Dio è semplicissimo! Siamo noi ad essere complessi… e anche complicati

di Corrado Gnerre

Lo sapevate che ad essere complicati siamo noi, non Dio? Dio è un essere semplicissimo. Ecco perché a coglierlo sono soprattutto i bambini.

Ma cosa vuol dire che Dio è un essere semplicissimo? Che in Lui tutto coincide, coincidono la sua essenza e i suoi attributi, cioè il suo essere profondo e le sue caratteristiche.
Qualcuno potrebbe chiedersi: ma a che serve sapere una cosa simile? È davvero importante? E fino a che punto?
La risposta è “sì”, è molto importante. E i motivi sono almeno due: primo, se negassimo la perfetta coincidenza in Dio tra essenza divina e attributi, Dio diverrebbe di fatto inconoscibile; secondo, perché una tale negazione riconoscerebbe la possibilità di una contraddizione in Dio.
Vediamo di capire meglio. Come facciamo a conoscere alcune caratteristiche di Dio? Attraverso il metodo analogico. Ovvero ciò che osserviamo nella realtà analogicamente lo riportiamo in Dio, nella convinzione che non esiste un’identità tra la realtà e Dio (panteismo), ma che non esiste nemmeno una differenza totale tra la realtà e Dio stesso (agnosticismo). Esiste invece un’analogia, e questa è data dal fatto che la realtà non è Dio, ma è stata creata da Dio; e, proprio perché creata da Dio, riflette il “marchio” di Dio stesso. Possiamo fare l’esempio di un dipinto. Dire che il dipinto e colui che l’ha fatto sono la stessa cosa, sarebbe da matti; ma sarebbe ugualmente un controsenso dire che non c’è alcun rapporto tra l’opera e l’artista, anzi: osservando il dipinto (come è fatto, ciò che esprime, il suo stile…), possiamo capire molto di colui che l’ha ideato e realizzato. E così anche per il rapporto tra la realtà e Dio: non identità, non totale diversità, bensì analogia, cioè somiglianza.
Ma – dicevamo più su – negare la perfetta coincidenza tra essenza e attributi divini vuol dire anche ipotizzare la possibilità che Dio possa contraddirsi. Anche questo punto è facilmente comprensibile. Nella realtà delle cose si rileva un principio che ne è costitutivo e che la filosofia naturale e cristiana (ma anche la buona filosofia classica) definisce “principio di non-contraddizione”, che sarebbe la convinzione secondo la quale non si può affermare e negare nello stesso tempo. Io posso dire che una penna ha l’astuccio rosso e poi aggiungere che ha qualche rifinitura nera, ma non posso dire che è rossa e non-rossa, nera e non-nera o che addirittura è penna e non-penna. Delle due l’una: o è rossa o non-rossa, o è nera o non-nera, o è penna o non-penna. Tale principio – dicevamo – è costitutivo alla realtà, tant’è che colui che fu il primo a parlarne (Aristotele) affermò di non aver inventato nulla, ma che esso è talmente nella logica delle cose che chi volesse negarlo, automaticamente lo affermerebbe. Se infatti dico: “Il principio di non-contraddizione non esiste”, con questa mia affermazione sottendo che il dire “il principio di non-contraddizione non esiste” e il dire “il principio di non contraddizione esiste” non sono la stessa cosa, non possono essere confusi e sono totalmente alternativi. Tornando a Dio, proprio perché c’è analogia tra il creato e il Creatore, e proprio perché nel creato è fondamentale tale principio, ecco che nella natura di Dio è presente anche questo principio, anzi esso è presente al grado massimo (si dice filosoficamente: “eminente”). Ma se (e torniamo al punto di partenza) negassimo la coincidenza tra essenza e attributi divini, allora tutto questo discorso verrebbe meno; e, venendo meno, Dio potrebbe essere considerato come essere contraddittorio in sé. Potrebbe, per esempio, non essere solo amore ma anche cattiveria, non solo giustizia ma anche ingiustizia, ecc…
Ed ecco perché la Chiesa è subito intervenuta condannando immediatamente coloro che hanno cercato di negare questa verità.
Il Concilio di Reims nel 1148, che si svolse alla presenza di Papa Eugenio III, condannò, grazie al contributo del grande san Bernardo di Chiaravalle, la dottrina di Gilberto di Poiters, il quale, a causa di un esagerato realismo filosofico, riteneva che l’essenza divina fosse in un certo qual modo distinta da Dio. Ma non solo, Gilberto di Poiters affermava anche la distinzione reale tra le Persone divine e le loro proprietà e, stando ai suoi accusatori, tra l’essenza divina e i suoi attributi. Il Concilio riportò tutto in ordine stabilendo la reale identità di Dio e della divinità, e quella di Dio e degli attributi divini.
L’errore di non far coincidere essenza e attributi divini è presente anche nel Cristianesimo Ortodosso, anzi in un certo qual modo ne costituisce uno dei punti caratterizzanti. Gli Esicasti, o anche detti Palamiti (da Palamos, un Monaco morto nel 1359), insegnarono nel XIV secolo che esisterebbe una reale distinzione tra l’essenza e l’energia divina, quest’ultima identificabile con gli attributi. La prima sarebbe inconoscibile, la seconda sì. Da qui si capisce perché il Cristianesimo Ortodosso non raramente tenda a cadere in un approccio sentimentalistico nei confronti di Dio. Famosa è quella espressione di Dostoevskij che dice che se venisse a sapere che Cristo non fosse la Verità, tra questa (la Verità) e Cristo, sceglierebbe Cristo. Che, ovviamente, è un errore di non poco conto.
Invece, sant’Agostino (che è Cattolico!) dice nel De Civitate Dei (XI, 10, I): «Ciò che Dio ha, Egli lo è!».

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